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Anziani in attesa del vaccino ieri a Potenza al punto somministrazioni affianco al San Carlo

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POTENZA – Alle 9.57 – a nessuno è sfuggito di guardare l’orologio – al signor Leonardo, ultraottantenne di Potenza, è stata iniettata la prima dose del vaccino anti Covid. A fine giornata su 545 persone inserite nell’elenco stilato dall’Asp in rigoroso ordine alfabetico sono state ben 420 quelle che ieri si sono presentate nei tendoni donati dal Qatar dove sono state allestiti i 10 box per la somministrazione del vaccino. Vaccino di cui non è andata sprecata nessuna fiala. Settanta quelle scongelate – da ognuna si ricavano sei dosi da somministrare ad altrettante persone – che sono state iniettate al 77 per cento delle persone che ieri si sono ritrovate sotto quei tendoni bianchi che dovevano servire come ospedale da campo di cui fortunatamente, viene da dire, non ce ne è stato bisogno.

Ma la prima giornata della campagna vaccinale per gli ultraottantenni è cominciata ben prima delle 9.57 quando la prima dose è stata iniettata. I primi in elenco dovevano presentarsi alle 9.30 ma già alle 9 la macchina organizzativa si è messa in moto e ha cominciato ad accogliere quelli che «la brutta bestia» – così il Covid19 è stato ribattezzato dai più – se la vogliono «levare di torno» per uscire «dal deserto e dalla solitudine» in cui «ci ha costretto in questo lunghissimo anno».

Un tempo sospeso. Come sospeso è apparso il tempo che ha preceduto le somministrazioni. Un tempo sospeso che, a differenza dell’anno appena trascorso, aveva un sapore diverso a rimarcare un “prima” e un “dopo”. Sarà stato anche il sole e la temperatura mite, che sapeva di primavera e di rinascita, ma vedere volontari della Protezione civile, scout, medici e infermieri («in campo – ha dichiarato Lorenzo Bochicchio, direttore generale dell’Asp – 14 squadre per un totale di 35 persone tra medici e personale sanitario») che non avevano i volti tirati (la stanchezza a giare bene quella sì ancora traspare) ma occhi che sorridevano è servito a scogliere quel nodo che per dodici lunghissimi mesi ha attanagliato tutti.

Occhi sorridenti sotto le mascherine anche dei primi 420 che a fine marzo riceveranno la seconda dose.
Anche compilare i moduli per il consenso informato – pratiche che in altre circostanze sarebbero state bollate come “inutili burocrazie” di cui poter fare a meno – è stato un atto liberatorio. Ogni ultraottantenne poi aveva un suo “angelo custode” sia che al divisa fosse arancione come quella del personale del “Basilicata soccorso”, sia che fosse la pettorina giallafluorescente della Protezione civile.

Sedie portate fuori dai tendoni bianchi per chi, in attesa del proprio turno, a stare in piedi si sarebbe magari stancato troppo. Intanto dentro le fiale – settanta quelle scongelate senza rischiare di doverne buttare nessuna – venivano maneggiate come oggetti preziosi da chi poi ha preparato le singole siringhe che con il loro batuffolino di ovatta a proteggerle sono posi state consegnate al personale presente nei dieci box. Nulla è stato lasciato al caso. Un ingranaggio che ha funzionato alla perfezione frutto di un’organizzazione e di una pianificazione che non ha presentato neanche una seppur minima increspatura.

«A fine settimana – ha detto il direttore generale dell’Asp, Lorenzo Bochicchio – avremo somministrato le prime dosi di vaccino ai 5.300 ultraottantenni del capoluogo». E dopo avere pronunciato questa frase anche lui sembra più leggero nell’accezione in cui Calvino definiva la leggerezza che non è superficialità.
La stessa leggerezza che si percepisce nei gesti di quanti, dentro ai tendoni bianchi, si apprestano di lì a poco ad accogliere questi nonni, questi genitori che apertamente ti dicono: «bisogna vaccinarsi» e non «bisogna avere nessuna paura». La «brutta bestia fa paura».

E così ognuno dei 420 ultraottantenni che ieri non hanno mancato l’appuntamento sono entrati uno per volta nei dieci box. Dentro due “angeli”. Maniche dei maglioni sollevati delicatamente poi quella piccola e sottile siringa che uno dei due passa all’altro. La cute viene disinfettata, l’ago entra nell’avambraccio – qualcuno ha il volto un po’ teso come capita ai bimbi che hanno paura delle punture – lentamente il vaccino viene iniettato. Ma è un attimo. Poi il cerotto “a coprire la bua”, come si direbbe ai bimbi. Ognuno viene accompagnato fuori dal box e fatto accomodare su una sedia per 15 minuti (il tempo d’osservazione necessario). Si disifetta tutto ed ecco che ne entra un altro. Poi si esce dal tendone e c’è il sole.

Oggi si ricomincia. «Aderite alla campagna vaccinale – dice il direttore generale dell’Asp, Lorenzo Bochicchio – perché è l’arma vincente per sconfiggere il virus», la «brutta bestia». E il pensiero va a chi non ce l’ha fatta.

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