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L’ospedale di Pescopagano

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POTENZA – La sala operatoria dell’ospedale di Pescopagano, appena riaperta dopo due anni di inattività, non possiede «i requisiti minimi di igienicità e sicurezza». È la clamorosa denuncia dei carabinieri del Nas, il Nucleo antisofisticazioni e sanità dell’Arma, dopo il blitz di martedì scorso nei locali del presidio periferico dell’azienda ospedaliera regionale San Carlo nel piccolo centro sulla valle dell’Ofanto.

L’ispezione dei militari è arrivata, a sorpresa, a meno di tre mesi dall’annuncio del direttore generale del San Carlo, Massimo Barresi, sulla riattivazione dei ricoveri al San Francesco da Paola per interventi di “medio-bassa complessità” in ortopedia. Un annuncio in linea con la rinnovata attenzione al territorio promessa, in materia di sanità, dall’attuale amministrazione regionale. Dopo anni in cui la politica dei predecessori di Barresi si era orientata verso l’accentramento delle attività chirurgiche nei poli muniti di un reparto di rianimazione (Lagonegro, Melfi, Villa d’Agri e soprattutto Potenza), in primis, e lì dove i numeri avrebbero potuto giustificare gli investimenti necessari a mantenere un livello infrastrutturale e tecnologico adeguato agli standard.

Il risultato è la fotografia impietosa, purtroppo, di un «ospedale da incubo», dove la promiscuità è la regola e diventa complicato cogliere una logica nella scelta di tornare a operare, senza una minima verifica sull’esistenza dei requisiti di agibilità della struttura. A meno di non accedere alle solite malelingue che raccontano del rapporto privilegiato tra Barresi e Mario Araneo, potente capo-segreteria del governatore Vito Bardi, che è proprio di Pescopagano nonché omonimo del direttore del presidio ospedaliero, Giuseppe Araneo.

Tra i rilievi evidenziati nei verbali redatti dai Nas e già inviati all’attenzione di Bardi, a cui spetta l’adozione dei provvedimenti conseguenti, ci sono ben «496 confezioni/pezzi di presidi medico chirurgici con validità scaduta», trovati «sia all’interno della sala operatoria che negli altri ambienti del gruppo operatorio», oltre ad «analoghi prodotti e strumentazione chirurgica sterilizzata sul posto», sempre scaduti. In qualche caso anche da più di 10 anni. I militari, che erano accompagnati da alcuni funzionari dell’Asp, non avrebbero trovato confezioni aperte con i presidi medici con la garanzia di sterilità scaduta (bisturi, cannule eccetera). Per questo non è scattato l’immediato sequestro dell’intera sala, in presenza di un rischio imminente per la salute pubblica, ma soltanto dei pezzi in questione. Sequestro a cui dovrebbe seguire una multa di qualche migliaio di euro per il San Carlo.

L’ultimo intervento effettuato, però, è risultato datato 8 giorni prima dell’ispezione. Resta il sospetto, quindi, che quei presidi, trovati anche all’interno del carrello d’emergenza, siano stati effettivamente utilizzati da tre mesi a questa parte, esponendo i pazienti a dei rischi inutili, e che le tracce di questo utilizzo siano state portate via con la spazzatura. Nei verbali del Nas si stigmatizza anche la presenza, nella stessa stanza, di «due lettini operatori corrispondenti a due postazioni chirurgiche» invece di uno solo, come si usa da qualche decennio per limitare al minimo il rischio di infezioni. Lettini, peraltro, con diverse lacerazioni sul rivestimento, che esporrebbero l’imbottitura in spugna, e «punti di ruggine».

Ma ai militari non sono sfuggite nemmeno le discontinuità nella pavimentazione, che renderebbero impossibile una pulizia a dovere, e il cucinino improvvisato in un locale-spogliatoio ricavato nel corridoio attiguo alla sala operatoria, con 5 armadi «con presenza di ruggine sia all’interno che all’esterno». Come pure l’utilizzo della sala anestesia e preparazione come sala risveglio, e del percorso per il materiale pulito anche per quello sporco, in barba alle minime regole prudenziali per evitare la possibilità di contaminazioni, dal momento che il passaggio dalla sala operatoria alla sala risveglio «è impedito dalla presenza di armadietti».

«Sempre nella zona di passaggio ostruita – spiegano i Nas – è presente una postazione informatica per la gestione dei ricoveri, un ripostiglio descritto come “camera oscura” utilizzato come archivio», e «una sala denominata “sala gessi” che funge da deposito». Senza dimenticare, nella sala di preparazione, la presenza di «un armadio/cassaforte e un armadio vetrato contenente protesi rimosse da pazienti e altro materiale». Rifiuti speciali rimasti da chissà quanto a far bella mostra di sé.

Il verbale si chiude con l’invito al direttore di presidio, arrivato quattro ore dopo l’accesso dei carabinieri, a consegnare ai carabinieri una serie di documenti entro martedì prossimo: certificato di agibilità, certificato antisismico, certificato di prevenzione incendi, documento di valutazione del rischio, e registro degli interventi e dei controlli sugli impianti della sala. Ai sensi della legge regionale sull’«autorizzazione delle strutture sanitarie pubbliche e private» i rilievi dei Nas sono stati notificati anche al presidente della giunta regionale, oltre che alla procura della Repubblica di Potenza per gli eventuali profili penali, perché valuti l’adozione di sanzioni nei confronti della struttura, che andrebbero dalla chiusura a penalità economiche, passando per l’imposizione di un termine per rimuovere le irregolarità riscontrate.

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Fabio Grandinetti

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