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POTENZA – I ritocchi alle graduatorie dei concorsi incriminati ci sono stati. E quella dell’ex governatore Marcello Pittella non è stata la semplice raccomandazione di questo e quel candidato. Bensì l’«istigazione» a commettere quei ritocchi secondo le sue volontà, trasferite ai membri delle commissioni incaricate di selezionare, sulla carta, i migliori.
E’ questa la tesi sostenuta ieri mattina a Matera dal pm Salvatore Colella, chiedendo la condanna a pene per oltre 50 anni di reclusioni complessivi (da un 1 anno e 4 mesi fino a 6 anni e 6 mesi di reclusione) per 18 dei 19 imputati nel processo su concorsi truccati e mala amministrazione nella sanità lucana. In particolare lo stesso Pittella (3 anni); gli ex commissari delle aziende sanitarie di Matera e Potenza, Pietro Quinto (4 anni e 6 mesi) e Giovanni Chiarelli (4 anni e 1 mese); l’attuale direttore del Dipartimento salute animale della Regione Puglia, Vito Montanaro (2 anni e 4 mesi). Più le ex direttrici amministrative dell’Asm e dell’azienda ospedaliera San Carlo di Potenza, Maria Benedetto (6 anni e 6 mesi) e Maddalena Berardi (3 anni).
Di fronte al collegio del Tribunale presieduto da Gaetano Catalani, Colella ha letto per circa due ore, seduto al banco riservato alla pubblica accusa, una lunga memoria in cui ha tirato le somme del dibattimento sulle prove raccolte durante le indagini della Guardia di finanza. Fino al “terremoto” di giugno del 2018, con l’arresto di Pittella, Quinto, Benedetto, Chiarelli, Montanaro, Berardi e altre 16 persone, e l’obbligo di dimora per altre 8.
Il pm ha chiesto l’assoluzione perché «il fatto non sussiste» da tutte le imputazioni per abuso d’ufficio, in considerazione della riforma di legge, che nel 2020 ha ristretto le condotte punibili.
Le contestazioni, infatti, facevano riferimento a una presunta violazione del regolamento per il reclutamento del personale sanitario, mentre la riforma del 2020 prevede che gli abusi d’ufficio si configurino soltanto se viene violata una norma di livello superiore, come una legge, o un atto avente «forza di legge».
Così è venuto a cadere l’unico capo d’imputazione a carico dell’ex direttore generale del Crob di Rionero e attuale direttore sanitario della Casa sollievo della sofferenza di San Giovanni Rotondo, Giovanni Bochicchio (assistito dall’avvocato Dino Donnoli).
Poi sono arrivate le richieste di condanna per tutti gli altri imputati. Nonostante dal novero delle intercettazioni utilizzabili siano state espunte una serie di conversazioni poste alla base delle contestazioni iniziali.
La pena più pesante è stata proposta per l’ex direttrice amministrativa dell’Asm, Benedetto, registrata dalle microspie piazzate nel suo ufficio mentre sfogava lo sdegno per l’andazzo di quei concorsi, e diceva di sentirsi un «verme» («tutti i raccomandati hanno fatto tutti schifo, è vomitevole») nel promuovere i candidati “predestinati”, distinti con l’evidenziatore in una lista custodita nella sua scrivania. Col verde, per quelli riconducibili a Pittella; e col rosa per l’ex senatore Filippo Bubbico, che però è rimasto fuori dal processo assieme ad altri “raccomandanti” illustri perché secondo gli inquirenti – a differenza del primo – non avrebbero istigato la materiale alterazione di graduatorie e quant’altro.
La stessa Benedetto che in un’occasione, secondo l’accusa, sarebbe anche andata a Lauria, nella residenza del governatore per farsi dettare le “correzioni” da apportare alla graduatoria provvisoria di un concorso per funzionari amministrativi.
Rischiano 4 anni e 6mesi, invece, una collaboratrice della stessa Benedetto, Anna Rita Di Taranto, e l’ex commissario Quinto, che pur avendo avuto un ruolo defilato nei concorsi truccati deve rispondere di un’ipotesi di corruzione da parte dell’imprenditore Gaetano Appio, interessato all’accreditamento della sua struttura sanitaria. Per presunti favori accordatigli in cambio – sempre secondo i pm – di lavoretti in un’abitazione di proprietà di Quinto a Bari. Poi c’è l’ex commissario dell’Asp, Chiarelli, registrato mentre liquidava come «inutile zavorra» una concorrente, priva padrini politici, in un concorso dove c’era «un’esigenza» di «Marcello» da rispettare. Per lui il pm ha chiesto una condanna a 4 anni e 1 mese. Quindi a seguire tutti gli altri.
L’inchiesta della Guardia di finanza di Matera era nata nel 2017 dalla denuncia di un dipendente di una società, la Croce verde, monopolista del servizio di trasporto dei pazienti dell’Asm.
In totale i concorsi truccati sarebbero stati 4 (3 all’Asm e 1 al Crob di Rionero).
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