Paolo Baffari
4 minuti per la letturaPOTENZA – Si è spento dopo poco più di un anno di lotta senza quartiere con la malattia l’architetto potentino Paolo Baffari. La notizia della sua morte ha scosso il capoluogo nel giorno della tradizionale Parata dei Turchi, e la Basilicata tutta, in cui Baffari si è fatto conoscere ed apprezzare per le battaglie ambientaliste e l’attivismo sociale e politico.
Nato a Potenza il 23 gennaio del 1962, Baffari si era diplomato al liceo classico Quinto Orazio Flacco e poi si era laureato in architettura col massimo dei voti all’Università di Napoli. Quindi era tornato nella sua città dedicandosi alla libera professione, e poi all’insegnamento di Costruzioni e disegno tecnico all’Istituto tecnico per geometri “Gasparrini”, fino all’assunzione come funzionario della Regione Basilicata, nel 1998.
A via Verrastro, Baffari era stato assegnato quasi subito all’ufficio Beni culturali. Poi, nel 2001, era passato all’ufficio Azioni ambientali, e nel 2009 era arrivato il trasferimento all’Ufficio ciclo dell’acqua. Ed è proprio da quest’ultima postazione che avrebbe combattuto le sue principali battaglie ambientaliste. Mettendo la sua professionalità e il suo senso civico a servizio della collettività secondo l’interpretazione più alta dei doveri di «disciplina ed onore», che la Costituzione assegna a chi svolge funzioni pubbliche. Senza cercare neanche per un secondo encomi o riconoscimenti ufficiali, mai arrivati, per l’impegno profuso.
Il primo banco di prova della sua determinazione fu il lungo braccio di ferro ingaggiato con l’Agenzia regionale per l’ambiente della Basilicata (Arpab), per l’implementazione dei controlli sulla qualità delle acque raccolte negli invasi lucani, destinate al consumo umano. Una questione che solo in concomitanza con l’arrivo di Baffari all’ufficio Acqua ha ottenuto l’attenzione dovuta. Grazie anche all’attivismo di altri due ambientalisti irriducibili come il tenente della polizia provinciale, Giuseppe Di Bello, e il leader dei radicali lucani, Maurizio Bolognetti, che proprio per quelle denunce sarebbero stati costretti a difendersi per anni dall’accusa di rivelazione di segreto d’ufficio.
Poi, nel 2012, è arrivato lo scontro con la superpotenza Eni, e i vertici del suo stesso ufficio, in Regione. Uno scontro impari, che vide il mite architetto potentino dal ragionamento fine opporsi, in solitudine, alla proroga dell’autorizzazione alla reiniezione nel sottosuolo delle acque separate da greggio e gas estratte in Val d’Agri dal colosso petrolifero.
L’anno dopo, infatti, la proroga dell’autorizzazione arrivò lo stesso, nonostante il parere con cui Baffari ne segnalava l’illegittimità, con un provvedimento a firma del capo dell’ufficio Compatibilità ambientale. Ma quando a distanza di qualche mese i carabinieri del Noe arrivarono in Regione per chiedere copia dell’intero fascicolo il parere di Baffari sarebbe stato misteriosamente scomparso dall’incartamento. E sarebbe occorsa una trasmissione ad hoc da parte di Baffari, perché fosse acquisita dai pm di Potenza.
La cronaca di quei giorni concitati, nel racconto dello stesso Baffari, resta agli atti del processo, per cui a marzo dell’anno scorso sono stati condannati in primo grado per la gestione di quei reflui di produzione, con l’accusa di traffico di rifiuti, 6 ex dirigenti locali della compagnia petrolifera, e la stessa Eni, che dovrà pagare 44,2 milioni di euro, quale provento del reato contestato. Oltre al capo dell’ufficio Compatibilità ambientale, ma per una distinta ipotesi di abuso d’ufficio legata alla revoca di una diffida ad Eni per emissioni incontrollate, che secondo i magistrati testimonierebbe: «un comportamento consapevolmente accondiscendente nei confronti dell’azienda petrolifera».
La deposizione di Baffari di fronte al collegio del Tribunale di Potenza presieduto da Rosario Baglioni, datata ottobre 2018, si può ancora ascoltare sul sito internet di radioradicale.it, ed è la più fedele testimonianza dell’impegno civico dell’architetto potentino. Ma anche di una dedizione alla Costituzione e le leggi da far impallidire più di qualcuno tra quanti hanno costruito la loro carriera sul giuramento di onorare e difendere questi principi.
D’altronde Baffari non aveva fatto mistero con amici e conoscenti di aver interpretato il suo trasferimento all’Ufficio urbanistica come una ritorsione, pochi mesi dopo la deflagrazione dell’inchiesta sulla gestione dei reflui Eni. Negli ultimi anni l’architetto potentino, che lascia la moglie e compagna di sempre, Filomena, aveva abbracciato anche la causa sindacale diventando segretario dell’Usb Basilicata Pubblico impiego. Inoltre nel 2019 era stato anche candidato per un posto in consiglio comunale, a Potenza, nella lista “Potenza città giardino”, a sostegno della corsa come sindaco di Valerio Tramutoli.
Nella sua ininterrotta attività sociale e politica Baffari è stato anche responsabile per l’ambiente di Libera Basilicata, referente per la “Tutela e valorizzazione degli aspetti urbanistici e paesaggistici” della sezione di Potenza di “Italia nostra”, e rappresentante Potenzattiva, e della cellula lucana del movimento di estrema sinistra Potere al Popolo. Più di recente, infine, aveva contestato le politiche restrittive adottate dal governo in materia sanitaria. In particolare la vaccinazione obbligatoria anti covid 19 per l’accesso ai luoghi di lavoro.
Due le sue pubblicazioni, purtroppo quasi introvabili: “Storia di ordinaria città”, pubblicato nel 2010 e dedicato agli scempi, morali e urbanistici, della sua città, Potenza, in cui qualcuno ha visto un’ideale continuazione de “Il cemento del potere” di un altro compianto intellettuale lucano, Leonardo Sacco; e “Respira la terra, dedicato all’ambiente e alla necessità di costruire una società sostenibile. I funerali si terranno questa mattina alle 12, a Potenza, nella chiesa di Sant’Anna, in viale Dante.
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