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POTENZA – Non avrebbe tirato dritto, per sfuggire all’aggressione dei tifosi del Rionero, investendone 4 che gli si erano parati davanti senza neanche vederli.

Ma dopo aver sterzato a sinistra, «per evitare le persone che sopraggiungevano da destra», avrebbe sterzato di nuovo a destra puntandone alcune, «per “vendicarsi” dell’aggressione in corso», fino all’impatto che ha provocato la morte del 39enne Fabio Tucciariello.

Ne è convinto il gip Lucio Setola, che giovedì sera, decidendo sugli arresti effettuati per i tragici fatti di domenica, a Vaglio, ha convalidato quelli del trentenne melfitano Salvatore Laspagnoletta, in carcere con l’accusa di omicidio e lesioni aggravate, e di 9 ultrà della Vultur, indagati per tentate lesioni, danneggiamento, violenza privata e porto di armi improprie assieme ad altri 16 compaesani (arrestati a loro volta e in carcere per ordine di giudici diversi, Antonello Amodeo e Ida Iura).

Ad aggravare la posizione di Laspagnoletta, su cui il pm Antonio D’Antona si era già espresso parlando della semplice accettazione del zrischio di procurare eventi anche letali», accelerando la marcia della sua Punto Abarth «per allontanarsi» dalla situazione di pericolo venutasi a creare, sono stati alcuni rilievi effettuati dalla Polizia stradale sull’asfalto davanti allo scalo ferroviario di Vaglio. Sempre lì dove si è consumato tutto, con l’agguato teso dai tifosi della Vultur ai rivali melfitani in viaggio verso Tolve al seguito della loro squadra, e l’investimento fatale di Tucciariello e altri 3 rioneresi parte di Laspagnoletta.

Salvatore Laspagnoletta

Gli agenti avrebbero osservato con maggiore attenzione, in particolare, la traccia lasciata da uno pneumatico a partire dal centro della carreggiata fino al punto in cui si trovavano gli «arti inferiori del cadavere, e successivamente da questo punto per altri pochi metri verso sinistra, sulla corsia di destra». Un’«abrasione gommosa» in gergo tecnico, che secondo gli inquirenti sarebbe stata provocata dalla brusca accelerazione della Punto di Laspagnoletta.

«Nella circostanza, proprio grazie alla favorevole illuminazione – è scritto nel verbale della stradale riportato integralmente dal gip -, lo scrivente notava che la citata traccia aveva inizio alcuni metri prima rispetto al punto di inizio rilevato in data 19 gennaio (il giorno della tragedia, ndr) e in particolare dal centro della corsia di sinistra e non dal centro della carreggiata».

La logica conseguenza di ciò viene esplicitata dal giudice subito dopo, evidenziando i contrasti con entrambe le versioni sulla dinamica degli eventi fornite dal 30enne melfitano. Sia quella resa in questura, per cui la sua auto sarebbe stata «circondata dagli aggressori» e colpita ripetutamente prima dell’accelerazione alla “cieca” e della rottura del parabrezza dovuta a un colpo non meglio identificato. Sia quella rivista durante l’interrogatorio condotto dallo stesso gip, in carcere, quando Laspagnoletta «ha precisato che gli aggressori non avevano “circondato” la sua autovettura, ma erano presenti solo al lato destro della stessa e qualcuno anche davanti al veicolo, ma sempre defilati sulla destra». Quindi ha «ribadito più volte (…) di aver sempre mantenuto il veicolo nella propria corsia di marcia» e «di non aver effettuato alcuna deviazione e/o sterzata», accelerando soltanto «per allontanarsi».

«La versione resa dall’arrestato – commenta il gip – (…) risulta in netto contrasto non solo con le dichiarazioni (sul punto univoche) di tutti gli altri arrestati (…), ma anche con le tracce rilevate sui luoghi».

Ammesso, pertanto, che i primi tifosi della Vultur schierati lungo il bordo strada «riuscivano a bersagliare di colpi» la Punto, e che, «come unanimemente riferito», la corsia di sinistra «era libera non vi era nessuna persona o veicolo», la domanda diventa un’altra. Ovvero perché Laspagnoletta, «pur riconoscendo di avere alla sua destra un imminente pericolo, e pur potendo facilmente superarlo allargandosi a sinistra e allontanandosi», avrebbe deciso di continuare «dritto», come ha raccontato, oppure di spostarsi «a sinistra (…) per evitare le persone che sopraggiungevano da destra», per poi imprimere una «successiva improvvisa sterzata a destra, che portava il veicolo a investire Tucciariello e gli altri».

«L’arrestato ha negato più volte di aver posto in essere tale manovra», evidenzia il giudice, introducendo una risposta che rischia di incendiare ancor più gli animi nei due centri, Rionero e Melfi, scossi dai tragici eventi di domenica scorsa.
«Le dichiarazioni degli altri arrestati e le tracce presenti sull’asfalto e sul veicolo», infatti, porterebbero, «di contro», a ritenere che Laspagnoletta «abbia effettivamente sterzato verso destra».

«Solo tale ricostruzione dei fatti – insiste il magistrato – appare compatibile con il rinvenimento della salma del Tucciariello nel punto in cui era (né vi sono elementi o indizi che possano far anche solo ipotizzare uno spostamento del corpo). Diversamente opinando il corpo del soggetto investito e/o il punto di impatto con l’autovettura dovevano trovarsi al centro tra le due carreggiate o, al massimo, al centro della carreggiata di destra».

Dunque: «con alta verosimiglianza e fatti salvi gli ulteriori e più approfonditi esami, deve ritenersi che Laspagnoletta deviava volutamente la traiettoria (come può allo stato ricavarsi dalle dichiarazioni degli altri arrestati, dalla scarsa credibilità che può riconoscersi alla sua versione dei fatti, dalla mancanza di possibili ragioni giustificative di una tale improvvisa manovra) continuando la marcia e accelerando la velocità, fino a colpire il gruppo degli aggressori presenti in quel punto e uccidere Fabio Tucciariello».

Una ricostruzione, questa, che, se confermata, dimostrerebbe non solo la fondatezza dell’accusa di omicidio volontario a carico del 30enne melfitano, sposo novello e impiegato in un noto pastificio della zona, ma anche le esigenze cautelari a suo carico: «atteso che l’azione posta in essere dall’arrestato (…) appare frutto di un desiderio di vendetta, dell’incapacità di controllare i propri impulsi, della volontà di tacere e nascondere le proprie responsabilità».

«La repentinità dell’azione, l’indifferenza verso l’incolumità altri, la scelta di lanciarsi con un veicolo in accelerazione contro un gruppo indistinto di facinorosi per “vendicarsi” dell’aggressione in corso – conclude il gip Setola – sono tutti aspetti della personalità dell’arrestato che connotano il concreto pericolo di reiterazione della condotta».

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