Il procuratore distrettuale antimafia di Potenza, Francesco Curcio
6 minuti per la letturaPOTENZA – Esiste un «sistema mafioso endemico, capillare e pervasivo in tutta la regione Basilicata», che colloca il territorio del distretto giudiziario «quanto a grado di allarme che suscita il fenomeno, subito dopo quelli tradizionalmente afflitti dalla presenza delle mafie storiche». Ruota attorno a questo assunto del procuratore distrettuale antimafia di Potenza, Francesco Curcio, il capitolo lucano dell’ultima relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia, «sull’attività svolta e sui risultati conseguiti» tra gennaio e giugno del 2022. La prima relazione dall’istituzione della sezione operativa della Dia di Potenza, inaugurata il 7 marzo del 2022 in considerazione del «singolare panorama criminale della Basilicata, caratterizzato da sodalizi autocroni e da allogene manifestazioni mafiose provenienti dalle regioni confinanti, ‘ndrangheta, camorra e mafie pugliesi».
«La cosiddetta mafia lucana (…) – si legge nell’introduzione della relazione – trova le sue origini in frammentati gruppi criminali autoctoni caratterizzati da una struttura di tipo clanico e a connotazione familistica, nel quadro di un macrosistema criminale privo di conformazione verticistica. L’area afferente all’importante Comune di Lagonegro, tuttavia, sembra caratterizzata dall’assenza di comprovate strutture autoctone di criminalità organizzata ma con infiltrazioni, assimilabili ad una vera e propria colonizzazione criminale, da parte di sodalizi mafiosi campani e calabresi». Gli investigatori evidenziano, in particolare, che «lo scenario della regione, segnato dalle difficoltà economiche in cui versano le imprese e dall’elevato tasso di disoccupazione tra la popolazione residente, rappresenta un fattore di seria vulnerabilità alle pressioni delle cosche mafiose delle regioni confinanti, molto interessate anche ai cospicui flussi di fondi pubblici investiti nel territorio». Quindi spiegano che «i diversi sodalizi criminali» presenti «si sono rivelati, al pari di altre realtà delinquenziali più progredite, particolarmente inclini a rigenerarsi con crescente attività di proselitismo e diversificazione delle attività illecite, evolvendo gradualmente verso formazioni a “gestione imprenditoriale” che incrementano i rischi d’infiltrazione nella pubblica amministrazione».
«Sotto questo profilo – prosegue la Dia – l’attuale scenario criminale lucano riflette le variegate origini dei vari clan che storicamente si sono insediati nel territorio ove è stata registrata l’operatività di gruppi, provenienti dal ceppo originario dei “basilischi”, nonché la presenza di consorterie legate ad organizzazioni di matrice calabrese e pugliese». Quanto alla distribuzione geografica di questi sodalizi, gli investigatori dividono il territorio della regione in tre aree che «si differenziano con riferimento alla vulnerabilità verso le infiltrazioni mafiose che, nel caso della provincia di Matera è rappresentata dalla particolare posizione geografica, vero e proprio snodo tra Puglia, Calabria e Campania».
Su Potenza e dintorni, la relazione riproduce i contenuti di una nota trasmessa lo scorso luglio dal procuratore Curcio che ha parlato di clan attivi «nelle classiche attività del crimine organizzato (stupefacenti, estorsioni, usura, eccetera)», ma con «una particolare attitudine nel mimetizzarsi nel tessuto della società civile, intessendo rapporti con il ceto imprenditoriale e politico, dedicandosi anche allo svolgimento di attività commerciali ed economiche apparentemente legittime». Di qui anche le «numerose» interdittive antimafia emesse dal prefetto del capoluogo «nei confronti di soggetti operanti nel settore dei giochi e delle scommesse online, di aziende edili ed agricole, nonché di società di servizi per la somministrazione di alimenti e bevande». Il Vulture melfese, invece, continua a caratterizzarsi per la «forte conflittualità fra le famiglie storiche del crimine organizzato che talvolta conosce anche momenti di pax mafiosa», e le «sinergie tra la mafia autoctona e la vicina mafia foggiana, in particolare, con quella attiva nella limitrofa Cerignola».
Mentre «nella parte meridionale della provincia di Potenza e, più precisamente, nel lagonegrese, si assisterebbe a tentativi d’infiltrazione nel tessuto economico ad opera delle più potenti organizzazioni mafiose campane e calabresi». Rispetto «alla genesi dei rapporti criminali tra le cosche calabresi e la criminalità lucana», quindi, la Dia osserva che «gli stessi nascono da una sorta di “gemmazione” proliferata all’interno dei circuiti penitenziari di “Alta sicurezza” (come quello di Melfi, ndr) in cui i detenuti responsabili di reati associativi e gli esponenti di organizzazioni malavitose di tipo mafioso sfruttano il periodo detentivo per stringere alleanze e per svolgere attività di proselitismo ed affiliazione anche tramite la celebrazione di riti e cerimonie». Dunque «interazioni» che generano «connessioni» che, «create e cementate all’interno delle carceri, riverberano all’esterno con alleanze e cooperazioni». Da registrare, da ultimo, c’è anche l’operatività di «gruppi criminali stranieri che agiscono sinergicamente con i sodalizi mafiosi autoctoni soprattutto nel traffico degli stupefacenti», come quelli composti da immigrati sub-sahariani, in provincia di Potenza, e da immigrati albanesi, «in stretta connessione con connazionali stanziati nella provincia barese», in provincia di Matera.
Tra gli elementi più significativi emersi dalle indagini venute alla luce nel primo semestre del 2022, la Dia evidenzia «le influenze dei clan di camorra» documentate dai pm di Salerno ricostruendo un presunto sistema di riciclaggio di denaro sporco tramite la piattaforma di gioco online gestita dal gruppo del potentino Antonio Tancredi, definito un «esperto nel settore del gioco illegale nonché punto di riferimento professionale per il gruppo dei Casalesi in quanto depositario di uno specifico know how in materia». Gli investigatori, però, citano anche le «sofisticate strategie criminose, concretizzatesi in attività corruttive finalizzate ad ottenere commesse e subappalti» che sarebbero state riscontrate «nel settore politico-amministrativo», assieme a «dinamiche e connivenze volte a screditare amministratori locali per ottenerne le dimissioni», nell’ambito dell’inchiesta sull’imprenditore ed ex sindaco di Ruoti, Angelo Salinardi. Confermata, infine, l’operativistà nel capoluogo del clan capeggiato da Renato Martorano e Dorino Stefanutti, «ormai in posizione paritetica nella direzione del sodalizio e nella gestione delle attività delittuose», con «mire espansionistiche e collegamenti nella provincia di Matera e in tutto il territorio nazionale». In particolare «con i gruppi regionali dei Di Muro-Delli Gatti di Melfi e degli Scarcia-Mitidieri di Policoro», e «con analoghe strutture mafiose attive in Calabria anche in settori economici legali di cui il sodalizio avrebbe acquisito, direttamente o indirettamente (tramite prestanome), il controllo e la gestione».
Un riferimento esplicito a quanto emerso dall’operazione Lucania felix, a novembre del 2021, ovvero alla «spiccata capacità del clan di infiltrarsi nel tessuto sociale, politico ed economico del capoluogo di Regione, assieme alla attitudine ad operare – come le mafie più strutturate – senza azioni eclatanti, pri»vilegiando, attingendo e sfruttando quella zona grigia in cui collusione, scambio di favori, commistioni e collegamenti con persone inserite nei contesti economico-istituzionali di interesse sono stati strumento di affermazione della propria capacità intimidatoria e criminale». Attivo nel potentino anche «il clan Riviezzi» di Pignola che ormai si atteggerebbe a «vera e propria autorità di governo dei rapporti inter-privati» avendo individuato come «settore elettivo di primario interesse operativo, ovvero il recupero crediti con modalità estorsive». Segnalato, poi, l’attivismo del gruppo Di Muro-Delli Gatti nel Vulture Melfese, e del «gruppo Barbetta» tra Rionero, Melfi e Rapolla, «mentre nel territorio di Venosa sembrerebbe avere ancora una discreta influenza il clan Martucci».
Non molto dissimile la situazione nel materano e sul litorale ionico dove «gli storici clan Scarcia, Mitidieti e Schettino» resterebbero operativi e in rapporti di «reciproca forzata convivenza». In questo senso vengono riprodotte alcune circostanze emerse dall’inchiesta per cui a maggio del 2022 è finita in carcere la 38enne di Pisticci Loredana Tauriello. «Nell’area della fascia jonica/metapontina i sempre più floridi settori dell’agroalimentare e del turismo balneare attirerebbero gli interessi convergenti della criminalità calabrese e tarantina». Così ancora la relazione della Dia, che mantiene i riflettori accesi anche sullo sfruttamento dei lavoratori stranieri nei campi.
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