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Occhi puntati sui documenti negati, le condizioni di salute, le dinamiche interne del Cpr di Palazzo dopo la morte di Oussama e la successiva ispezione


POTENZA – La relazione del Tavolo Asilo e Immigrazione dopo l’ispezione al Cpr di Palazzo San Gervasio non dice – non può dire – come sia morto Oussama Darkaoui il 5 agosto scorso. Ma racconta delle condizioni (igieniche, sanitarie, organizzative) in cui si trova la struttura, evidenziando diversi problemi. E non è poco, considerando le accuse che da tempo piovono su questo tipo di centri.

La visita del 10 agosto

È una relazione lunga, dettagliata, frutto della visita effettuata il 10 agosto scorso dal Tavolo, organismo composto da una nutrita serie di associazioni: A Buon Diritto, ActionAid, Arci, Ascs, Asgi, Campagna Ero Straniero, Casa dei Diritti Sociali, Cgil, Centro Astalli, Cies, Cnca, Conngi, Drc Italia, Emergency, Europasilo, Fondazione Migrantes, Forum per cambiare l’ordine delle Cose, Irc, Italiani Senza Cittadinanza, Medici per i Diritti Umani, Medici Senza Frontiere, Oxfam Italia, Save the Children, Simm, ReC.Sol, Refugees Welcome Italia, Unire.
Oussama, 22 anni, era nel Cpr dal maggio scorso, fermato a Napoli e inviato a Palazzo perché senza permesso di soggiorno. Il 5 agosto è morto. Ne è seguita una rivolta interna, da parte degli altri trattenuti, con incendi e proteste (LEGGI LA NOTIZIA).

Il procuratore della Repubblica del tribunale di Potenza, Francesco Curcio, ha spiegato che le indagini non escludono nulla, e dunque si va dal suicidio all’autolesionismo finito male, fino all’omicidio.
All’ispezione al Cpr di Palazzo hanno partecipato tre parlamentari italiani, quattro consiglieri regionali della Basilicata, operatori sanitari, avvocati, mediatori culturali.
Sulla struttura pende già un’inchiesta della magistratura potentina che riguarda la gestione affidata tra il 2018 e il 2022 alla società Engel (le ipotesi, e sono ovviamente ancora tali, parlano di maltrattamenti nei confronti dei migranti e sedazioni forzate senza reale bisogno medico).

DIRITTO ALL’ISPEZIONE

Innanzitutto, nella relazione si ribadisce il diritto di accesso ai Centri di permanenza per i rimpatri da parte dei parlamentari italiani e dei consiglieri regionali, diritto evidentemente non ben rispettato se il consigliere Roberto Cifarelli aveva dovuto fare una lunga anticamera il 6 agosto prima d’entrare. Nel corso delle due ispezioni «negata la visione e la messa a disposizione di numerosi documenti richiesti. Il diniego frapposto dalla direttrice del Centro, avallato dalla Prefettura di Potenza, con un generico richiamo alla disciplina sulla privacy, rappresenta una grave compromissione dei poteri riconosciuti dalla Costituzione e dalla legge ai parlamentari».
Ma la visita c’è stata, l’ispezione al Cpr di Palazzo è durata cinque ore e ha consentito di appurare una serie di questioni.

PRIME CARENZE

Già la posizione del Cpr – lontano da centri abitati e dalle più vicine strutture sanitarie – «rappresenta di per sé un grosso limite al rispetto di tutti gli standard richiesti».
I lavori di manutenzione effettuati negli anni, poi, hanno riguardato soprattutto «i dispositivi di sicurezza (recinzioni più alte, chiusura dei moduli abitativi all’interno di gabbie di ferro, innalzamento del muro perimetrale). Poco altro fatto per migliorare la struttura inizialmente realizzata».

Dopo una descrizione di alcuni uffici della struttura destinati a giudici, legali, sanitari, personale interno (con tanto di distributore di snack e bibite a cui i trattenuti non hanno accesso) si passa ai moduli abitativi: 16 per una capienza nominale di 128 persone (in realtà di meno, una novantina, per inagibilità di alcune parti). La prefettura di Potenza fra 7 e 8 agosto ne ha messi in libertà 14 perché – si legge nel provvedimento – si è verificata una «riduzione di capienza».

DOVE SI VIVE

Lasciamo la parola alla relazione su come sono organizzati i “moduli di pernotto”: «Recinto da sbarre un cortiletto di cemento, solo parzialmente in ombra, con uno o due tavoli e panca di cemento. Da lì qualche gradino porta allo spazio “coperto”: un piccolo corridoio orizzontale, al fondo del quale si trova un altro tavolo di cemento dove vengono consumati i pasti, sul quale danno due stanze da 4 persone e un bagno (due docce e due/tre turche, due lavabi con 4 rubinetti) per otto persone. All’interno di ogni stanza vi sono 4 letti in cemento, un televisore, e quattro cubi di cemento utilizzati come armadi per tenere gli effetti personali degli ospiti. Nelle stanze sono presenti due lampade a muro per illuminare l’ambiente che vengono tenute accese h24».

Il modulo 14 è chiuso dopo la morte di Oussama. Poco dignitosi i bagni del modulo 16, a quanto è scritto nel rapporto: «Pavimento molto sporco, turche anche, una delle docce non aveva più il “rubinetto” e si configurava dunque come un buco nel muro da cui usciva acqua. I trattenuti avevano tappato lo scarico di uno dei lavabi in modo da poter accumulare dell’acqua al suo interno: riferiscono di aver iniziato a farsi la doccia riempiendo di quell’acqua un tupperware di plastica e rovesciandosela in testa. Nella stessa acqua fresca accumulata in quel lavabo i ragazzi tentavano di tenere al fresco una bottiglia di coca cola, “l’unica cosa fresca che riusciamo a bere”».
Situazione «lievemente migliore negli altri due moduli visitati».

DOVE SI DORME

«In generale – dichiarano ancora dal Tavolo – gli ambienti appaiono angusti e sporchi. Constatiamo (in tutti e tre i moduli) forti scrostamenti sul muro di tutti i loculi del bagno. (…) Tutti i trattenuti lamentano la mancanza strutturale di carta igienica (uno ci mostra che nasconde il suo rotolo per evitare che gli altri lo usino). Colpiscono i letti: blocchi rettangolari di cemento, dai bordi leggermente rialzati e arrotondati, su cui vengono adagiati dei materassini sottili di gommapiuma. I trattenuti li chiamano “le bare”. Non tutti i letti hanno un materasso, quasi tutti quelli che lo hanno, anziché lenzuola di cotone hanno lenzuola che sembrano essere di carta o altro materiale similare».

COME SI VIVE

A questo punto gli estensori della relazione dopo l’ispezione si fanno categorici: «Le condizioni di vita dei trattenuti all’interno del Cpr di Palazzo San Gervasio sono disumane. I racconti dei ragazzi e quanto constatato durante la visita, ci portano ad affermare che il Centro peggiora le condizioni di salute dei soggetti che vengono trattenuti al suo interno».
Come già detto lenzuola di carta (ma spesso assenti), lavanderia non funzionante, biancheria intima non sempre fornita, nessuna attività ricreativa, sociale o religiosa: «Di fatto, i trattenuti escono dalle gabbie solamente per recarsi nell’infermeria o nell’aula del Giudice di Pace per l’udienza di convalida o di proroga».

Capitolo pasti: «Nessuno degli operatori ascoltati e neppure la direttrice, Catia Candido, hanno saputo fornire precise informazioni sulla provenienza del cibo. L’unica informazione che abbiamo ricevuto (…) riguarda la società che provvede alla preparazione dei pasti. Non è stato possibile sapere dove avviene la preparazione e il confezionamento dei pasti. (…) I ragazzi hanno lamentato la qualità del cibo fornito affermando che, di fatto, ogni giorno viene loro propinato un piatto di pasta. Nello specifico abbiamo potuto constatare che alcuni piatti emanavano cattivi odori e che alcuni cibi apparivano poco cotti. Il pranzo del giorno prevedeva patate, fetta di tacchino (probabilmente), wurstel poco cotto, pasta al pomodoro, mela. Poco e scadente».
Altre accuse riguardano i beni acquistabili nel Cpr (a prezzi considerati non proprio popolari) o le dotazioni di prodotti per la pulizia personale.

CONDIZIONI DI SALUTE

Degli “ospiti” del Cpr di Palazzo incontrati durante l’ispezione della delegazione si analizzano anche le condizioni di salute – «La maggior parte di loro riportavano evidenti segni di autolesioni sul corpo (braccia e gambe) e diversi trattenuti presentavano problemi psico-fisici» – riportando anche diversi casi individuali (ad esempio il numero 4752 che «ha la mano rotta. Sostiene che il medico l’abbia visitato sbrigativamente e abbia detto che andava tutto bene»).

Da qui a parlare di ciò che è avvenuto a Oussama Darkaoui il passo è breve, e si comincia a farlo riportando la testimonianza del trattenuto numero 4594: «Ha -17 diottrie di miopia e una lente a contatto rotta che non riesce a farsi sostituire. Sostiene di essere amico/figura paterna di Oussama e di averlo visto morire. Piange, dice che il giorno prima Oussama stava bene, ma che il giorno che è morto, anche se disteso dormiente per ore nel cortile esterno, non sia stato chiamato nessuno a soccorrerlo».

PARLANO I MEDICI

Il primo dottore di cui si riportano le dichiarazioni – in questo caso, ampi stralci della relazione da lui effettuata – è Nicola Cocco, «medico in medicina detentiva e delle migrazioni» – presente alla visita di Cifarelli.

In merito al decesso di Oussama

È opportuno citarne un lungo estratto: «In merito al decesso di Oussama (…) per cui la Procura di Potenza ha già perquisito il Cpr e sequestrato molta documentazione, non è stata data la possibilità alla delegazione di visionare nessun elemento del fascicolo sanitario, in particolare la valutazione di idoneità alla vita in comunità ristretta essenziale per il trattenimento in Cpr: la Direttrice ha assicurato che tale idoneità era presente, e ha confermato che nei giorni precedenti Oussama aveva ingerito dei corpi estranei come gesto autolesivo ed era stato ricoverato presso l’Ospedale San Carlo di Potenza. Ciononostante, al rientro in Cpr, non è stata predisposta una rivalutazione dell’idoneità alla permanenza del Cpr, come previsto tra l’altro dalla direttiva del Ministero dell’Interno (…) nonché da ogni minima valutazione medica deontologicamente diretta: la direttrice ha spiegato tale mancanza col fatto che l’accesso in ospedale non aveva chiaramente descritto un’acuzie psichiatrica che giustificasse una inidoneità.
Tale motivazione dal punto vista medico, sanitario e deontologico risulta inaccettabile, dal momento che è responsabilità del medico dell’ente gestore valutare l’eventuale necessità di una rivalutazione dell’idoneità, e che un gesto autolesivo rappresenta un campanello d’allarme molto grave in termini di rischi per la salute e la vita delle persone detenute, in particolare quelli che presentano già criticità di salute mentale, come ampiamente riportato in letteratura».

Il medico esclude che la morte possa essere conseguenza di percosse ma «è indubbio che sia avvenuta in un luogo fortemente patogeno e caratterizzato da un elevatissimo tasso di violenza che mette a rischio la salute e la vita delle persone detenute».
Luci e ombre sull’ambulatorio presente in loco: consona disposizione dei farmaci ma errata conservazione (senza una cassaforte).

IL CERTIFICATO

È la volta del dottor Enzo Limosano che lavora al Cpr. Dopo qualche domanda generica (dove avvengono le somministrazioni – il medico afferma in ambulatorio tranne rare eccezioni mentre i trattenuti dicono nei moduli – e accesso del personale sanitario ai moduli) la critica dei visitatori si concentra sul certificato d’idoneità alla detenzione: «Il certificato di idoneità mostratoci dal dottor Limosano non rispetta nessuno dei criteri richiesti dalla attuale normativa e (…) lo stesso discorso vale per la quasi totalità dei certificati di idoneità visionati dai legali con cui ci siamo confrontati».

IL PROTOCOLLO

E dire che il 23 novembre 2023 nel palazzo di governo a Potenza si era tenuta la cerimonia di sottoscrizione del “Protocollo per la valutazione dell’idoneità dei migranti alla vita in comunità ristretta presso il Cpr di Palazzo San Gervasio”: il prefetto Michele Campanaro, i vertici della struttura e dirigenti sanitari avevano firmato il documento per «assicurare – si leggeva nel comunicato stampa diffuso all’epoca – piena tutela ai diritti fondamentali degli stranieri ospitati nel Cpr di Palazzo S. G., con particolare riferimento al superiore bene della salute, affiancando agli strumenti già esistenti, una puntuale procedura per il rilascio del certificato di idoneità alla vita in comunità ristretta, che rappresenta la conditio sine qua non per la permanenza in un Cpr e, al tempo stesso, il punto di partenza per eventuali percorsi di cura».
Si nota una totale discrepanza fra questo obiettivo e il resoconto del Tavolo.

DIVERGENZE

Ci sono anche altri punti sui quali s’incentrano le critiche della delegazione che ha effettuato l’ispezione al Cpr di Palazzo, in alcuni casi perché le informazioni in suo possesso non concordano con quanto verificato: numero di trattenuti sottoposti a terapia farmacologica (60 per cento per il Cpr, 20 per cento secondo il Tavolo), vaghezza sulla consistenza del personale sanitario, scarsa chiarezza sul funzionamento dei registri, presenza o meno di operatori sociosanitari, farmaci sostitutivi delle droghe per i trattenuti tossicodipendenti chiusi in un armadietto con una chiave semplice.
Le domande principali sono naturalmente quelle relative al giovane deceduto: «Chiediamo perché non si sia ripetuta una visita di idoneità psichiatrica [di Oussama] dopo l’ingestione di vetro. Il medico prova a giustificarla col fatto che l’ingestione di vetro è avvenuta giovedì, quindi venerdì e sabato non ci fosse modo perché Oussama sarebbe stato sotto osservazione sanitaria. Riferisce che gli operatori gli hanno detto che “domenica accompagnava gli altri in ambulatorio in carrozzina portandola lui”, dimostrando quindi un discreto stato di salute, mentre lunedì mattina non avrebbe assunto la terapia e non si sarebbe recato in infermeria perché “dormiva”».

ATTI NEGATI

L’ultimo incontro è quello con la direttrice, Catia Candido, «che si mostra subito poco collaborativa. Un comportamento molto diverso da quello tenuto invece nel mese di aprile».
I visitatori chiedono di ottenere alcuni atti. «Si oppone alla richiesta di accesso alla documentazione formulata dall’onorevole Scarpa – scrivono dal Tavolo – con riferimento a: elenco presenze del Cpr (odierno e di due settimane indietro), tutti i fogli/registri sanitari, bolla farmaci, bolla alimenti eccetera. Sostiene di non poter dare accesso a informazioni con dati sensibili. Abbiamo anche un’interlocuzione telefonica con la vicaria del prefetto, la quale si mostra altrettanto chiusa alle nostre richieste. Dopo molte insistenze riusciamo a ottenere una parte della documentazione richiesta ma con molti dati oscurati».

PRIMA DI ANDARE

Abbiamo provato a contattare telefonicamente Officine Sociali – che gestisce la struttura – all’unico numero telefonico che si trova sulla rete (un cellulare) collegato alla cooperativa di Siracusa. Non siamo riusciti a parlare con nessuno (ma ovviamente siamo disponibili a riportare la loro versione).
Proprio con le testimonianze di alcuni lavoratori della cooperativa Officine Sociali si conclude il rapporto del Tavolo Asilo e Immigrazione: «Tutti lamentano lo svolgimento di mansioni al di fuori delle mansioni proprie e ulteriori rispetto al ruolo svolto. L’espressione utilizzata è “tutti fanno tutto”, a dimostrazione del fatto che non vi sono ruoli ben definiti e che il lavoro non è ripartito in maniera adeguata tra i diversi lavoratori».

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