Antonio Nicastro
3 minuti per la letturaPOTENZA – Nella fase calda della crisi sanitaria è esistito un livello politico che in Basilicata ha dettato le priorità nell’effettuazione dei tamponi diagnostici, decidendo, in qualche caso, chi doveva vivere e chi doveva morire?
C’è anche questo tra i sospetti che emergono dall’inchiesta condotta dalla procura di Potenza sui tamponi “vip”, che giovedì ha subito una brusca accelerazione con le perquisizioni a casa e in ufficio del direttore sanitario dell’Azienda sanitaria di Potenza, Luigi D’Angola, e di due medici del reparto di Igiene e sanità pubblica della stessa Asp: Michele De Lisa, il primario, e Nicola Manno.
I tre hanno ricevuto un avviso di garanzia per omissione d’atti d’ufficio in relazione al ritardo con cui è stato effettuato il tampone al giornalista potentino Antonio Nicastro, deceduto agli inizi di aprile (per D’Angola è ipotizzato anche un falso in rapporto a quanto sostenuto nella relazione sull’accaduto fornita alla Regione sul fatto che Nicastro non avesse i requisiti richiesti per l’accesso al tampone).
Ma nel decreto di perquisizione notificato a ognuno di loro compare anche un significativo «omissis» sui capi d’imputazione che lascia intendere l’esistenza di altre ipotesi al vaglio dei pm titolari dell’inchiesta, il procuratore del capoluogo, Francesco Curcio, e l’aggiunto Maurizio Cardea. Per questo lunedì mattina, quando D’Angola, De Lisa e Manno sono attesi in Tribunale per sottoporsi a interrogatorio, non è escluso che le domande spazino dalle contestazioni note ad altre ancora da scoprire.
Stando a quanto già ricostruito, infatti, il test per il giornalista sarebbe stato fissato inizialmente per il 23 marzo e anticipato al 20 per effetto delle «sollecitazioni» rivolte a D’Angola dal capo del dipartimento Salute della Regione, Ernesto Esposito. Da capire, pertanto, resta se vi siano state ulteriori «sollecitazioni», e di che tipo, dai vertici del dipartimento, ed eventualmente anche altre autorità politiche, sui dirigenti sanitari dell’Asp. Gli inquirenti, del resto, citano espressamente una serie di tamponi effettuati «seguendo il solo criterio epidemiologico», vale a dire gli eventuali contatti con pazienti positivi al covid, a soggetti asintomatici che non ne avrebbe avuto realmente bisogno perché.
«Con ciò gravando ingiustificatamente – sostengono – sulle componenti sanitarie preposte al prelievo e all’analisi dei tamponi, e sulla scarsità di mezzi a disposizione». Ma anche, almeno per quelli effettuati nei giorni successivi al 17 marzo, contribuendo «a pregiudicare una rapida esecuzione degli accertamenti diagnostici che avrebbero potuto evidenziare la patologia da cui era affetto» Nicastro, «e conseguente garantire l’integrità fisica dell’ammalato».
I casi più eclatanti sono noti, come quello dei tamponi effettuati ai partecipanti a un incontro regionale di Fratelli d’Italia col vice-questore della Camera dei deputati, Edmondo Cirielli, poi risultato positivo al virus. Idem per i componenti del comitato regionale per l’ordine e la sicurezza che sono stati sottoposti a tamponi a tappeto dopo la notizia della positività del prefetto di Matera Rinardo Argentieri. Ma altri potrebbero trovarsi negli atti dell’inchiesta, che avrebbe preso il via, nei mesi scorsi, sulla scorta di una serie di articoli di stampa che denunciavano proprio questo tipo di situazione.
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