2 minuti per la lettura
Via all’adeguamento del Centro oli di Viggiano per estrarre petrolio e gas senza rischi per l’ambiente e la salute pubblica
di LEO AMATO
POTENZA – «Tre mesi» per adeguare l’impianto di Viggiano. E’ il tempo concesso all’Eni dai pm di Potenza per mettersi in condizione di riavviare l’estrazione di petrolio e gas senza rischi per l’ambiente e la salute pubblica.
Ieri mattina i magistrati hanno concesso il dissequestro temporaneo delle vasche di raccolta dei reflui di produzione dell’impianto e del pozzo di reiniezione utilizzato per smaltirne circa il 70%, dove lo scorso 31 marzo erano spuntati i sigilli dell’autorità giudiziaria.
A renderlo noto è stata la stessa compagnia che 10 giorni fa aveva presentato un’istanza di dissequestro con allegato progetto di una serie di interventi strutturali per eliminare le “anomalie” evidenziate dagli inquirenti.
DUE GIORNI FA L’OK DEI CONSULENTI DEI PM ALL’ENI
Eni spiega che «una volta verificata la correttezza di attuazione della modifica, la procura procederà al dissequestro definitivo». Quindi potrebbe ripartire la produzione – pari a circa 75 mila barili al giorno di petrolio (110mila quelli autorizzati) – ferma sempre dallo scorso 31 marzo.
Tirano un sospiro di sollievo centinaia di dipendenti impegnati nelle attività del Centro olio. Oltre 2mila se si considera anche i quelli delle ditte fornitrici dell’indotto.
L’impianto della compagnia del cane a sei zampe è stato sequestrato nell’ambito di un’inchiesta sulla gestione dei reflui prodotti dai processi di lavorazione del greggio e del gas “associato” estratti dal sottosuolo lucano.
I magistrati hanno stigmatizzato, in particolare, «l’alterazione dei dati» sui parametri delle sostanze inquinanti presenti nei reflui e la loro classificazione, prima che in parte fossero reiniettati nel sottosuolo, utilizzando un pozzo esausto nel comune di Montemurro, e in parte inviati in impianti di depurazione distribuiti in mezza Italia. In entrambi i casi, però, sarebbero stati smaltiti, illegalmente, come rifiuti non pericolosi. Perché le «acque» in questione, «lungi dall’essere costituite esclusivamente dal risultato del processo di separazione del petrolio dalle acque di strato e dai residui delle sostanze utilizzate per tale processo», sarebbero state miscelate con «i rifiuti liquidi derivanti dagli altri processi di produzione» del Centro olio. Ovvero «purificazione del gas» estratto assieme al greggio, e «produzione di zolfo». Scarti contenenti anche sostanze pericolose. Così il Riesame che aveva respinto l’istanza di dissequestro dell’impianto e quelle di liberazione dei 5 dirigenti Eni finiti ai domiciliari.
La compagnia sostiene di aver individuato una soluzione che consiste nella «possibilità di apportare una modifica all’impianto in grado di determinare la separazione della produzione di gas da quella di olio e permettere di continuare nella reiezione delle acque di strato, soluzione che non richiede variazioni dell’autorizzazione principale attualmente in essere».
Resta ancora incerto, tuttavia, l’iter amministrativo da seguire, e quale sia l’ufficio competente (Regione, Ministero dello sviluppo economico o entrambi) per il via libera ai lavori. Un procedimento che rischia di “consumare” buona parte dei 3 mesi concessi dai pm.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA