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Il tribunale di Potenza

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Tra prescrizioni e assoluzioni, un solo condannato che aspira comunque alla prescrizione in Cassazione, il processo sulla Rimborsopoli lucana smontato in Appello


POTENZA – Tre assolti, due prescritti, e un solo condannato che può ben sperare, comunque, in una pronuncia di non luogo a procedere per prescrizione in Cassazione.
Si è concluso così, ieri mattina a Potenza, il processo d’appello per il filone “turbo” della maxi inchiesta rimborsopoli, che nel 2012 portò allo scioglimento del Consiglio regionale e ad elezioni anticipate.

La corte presieduta da Lucia Casale e completata dalla relatrice Angela D’Amelio e da Vittorio Santoro ha ridotto a 2 anni e 4 mesi la pena per l’ex capogruppo del Partito democratico Vincenzo Viti. Rispetto ai 3 anni e 4 mesi di reclusione inflitti in primo grado a dicembre del 2019 dal collegio presieduto da Federico Sergi.
Assolti da tutte le accuse, d’altra parte: l’ex assessore Agatino Mancusi (Udc), in primo grado condannato a 2 anni e 10 mesi, perché «il fatto non costituisce reato». Ll’ex consigliere Mario Venezia (Pdl), «perché il fatto non costituisce reato», e il collega Vincenzo Ruggiero (Udc), «perché il fatto non sussiste», che in Tribunale si erano visti infliggere, rispettivamente, a 2 anni e sei mesi, e a 5 anni e 4 mesi di reclusione. Assolto il commercialista materano Ascanio Turco, cugino di Viti, condannato a 1 anni e 8 mesi per la supervalutazione di un auto venduta al gruppo consiliare del Pd («non aver commesso il fatto)».

RIMBORSOPOLI LUCANA, LE DECISIONI NEL GIUDIZIO DI APPELLO

Assoluzione per il grosso delle contestazioni, e prescrizione per le rimanenti, infine, è stato il verdetto nei confronti dell’ex capogruppo del Popolo della libertà, Nicola Pagliuca, e di Rosa Gentile, all’epoca dei fatti assessora alle Infrastrutture della giunta guidata dal governatore Vito De Filippo.
La sentenza della Corte d’appello di Potenza era particolarmente attesa dopo quanto accaduto nell’ultima udienza del processo “madre” nato dall’inchiesta sui rimborsi nel parlamentino lucano. Un processo arenatosi in primo grado per cui il collegio “B” del Tribunale, presieduto da Valentina Rossi, ha annunciato una dichiarazione di “non luogo a procedere” per prescrizione per la totalità degli imputati rinviati a giudizio nel 2014. Circa una quarantina tra consiglieri regionali e assessori, rieletti e non, tra i quali l’attuale presidente del Consiglio regionale Marcello Pittella (Azione), l’attuale capogruppo regionale di Fratelli d’Italia, Michele Napoli, il sindaco di Venosa Franco Mollica, il commissario del Parco nazionale dell’Appennino lucano, Antonio Tisci, e l’ex sottosegretario De Filippo (Pd).

L’iniquità di questa situazione venutasi a creare tra gli imputati del processo “madre” e gli imputati del processo “turbo”, e l’arbitrarietà della loro separazione, era stata denunciata con forza da diversi difensori nelle arringhe pronunciate nelle scorse settimane davanti alla Corte d’appello. Data la perfetta sovrapponibilità delle condotte prese di mira e dei reati contestati, il peculato e il falso.

90 GIORNI PER CONOSCERE LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA

Il verdetto pronunciato ieri, quindi, sembra “sanare” questa situazione. Per leggerne le motivazioni, ad ogni modo, occorrerà attendere i canonici 90 giorni.
Rispetto ai rimborsi per le due fatture che in primo grado erano costate la condanna a Gentile, i giudici d’appello hanno stabilito che “il fatto non costituisce reato” per quella del 23 dicembre 2010, da 510 euro, relativa a un pranzo per 17 persone in un ristorante di Matera, che per gli investigatori non ci sarebbe mai stato. Mentre hanno preso atto del decorso dei termini di prescrizione per quella del 17 dicembre 2010, da 1.620 euro, relativa a un altro pranzo per 54 persone in un ristorante di Pignola.

Un pranzo che l’allora assessora ha dichiarato di aver pagato da sé, attingendo ai fondi per le sue spese di rappresentanza, venendo smentita da diversi degli ospiti che hanno riferito agli investigatori di averle consegnato “30-35 euro” a testa.
Per quanto riguarda Pagliuca, la Corte ha pronunciato sentenza di assoluzione perché il “fatto non costituisce reato” in relazione a 11 scontrini e ricevute portati a giustificazione, illecitamente secondo i giudici di primo grado, dell’utilizzo dei circa 2.600 euro che ogni mese venivano anticipati ai consiglieri regionali per attività “legate all’esercizio del mandato”. Inclusi gli scontrini per l’acquisto di un cd di Renato Zero in un’area di servizio sull’Autostrada del Sole, e per 130 euro di pastarelle ritirate il giorno del compleanno del consigliere nella pasticceria di fronte al palazzo della giunta. Più una serie di ricevute per pranzi in un ristorante di Potenza che sarebbero stati “gonfiati” aggiungendo a penna dei numeri alla cifra effettivamente pagata.

LE FATTURE PER I PASTI E I PERNOTTAMENTI “GONFIATI” SECONDO L’ACCUSA

Pronunciata sentenza di non luogo a procedere per decorso dei termini di prescrizione, invece, per una singola fattura alterata con l’aggiunta di un “1” davanti all’ “importo originario di euro 80”, e “numerose” altre, del valore di 1.901 euro, emesse da un ristoratore potentino che una volta convocato in caserma dagli investigatori aveva ammesso “che si trattava di fatture “gonfiate a richiesta del Pagliuca oppure rilasciate, su esplicita richiesta di costui, per pranzi non fruiti”.
Nei confronti di Viti i giudici hanno pronunciato sentenza di assoluzione, “perché il fatto non costituisce reato”, per 22 fatture e scontrini utilizzati per giustificare l’utilizzo dei fondi per le spese di rappresentanza. Fatture e scontrini perlopiù per pasti e pernottamenti, datati 2010 e 2011, che secondo gli investigatori sarebbero quasi tutti “gonfiati” aggiungendo a penna dei numeri alla cifra effettivamente pagata.

RIMBORSOPOLI LUCANA, IN APPELLO RESTANO IN PIEDI ALCUNE CONTESTAZIONI

Sono rimaste in piedi, d’altro canto, le contestazioni per altre due fatture spuntate fuori dalla contabilità del gruppo consiliare del Partito democratico, guidato all’epoca proprio da Viti. Una da 323 euro di agosto del 2011 per 32 “pasti a prezzo fisso” in un ristorante di Potenza che è risultata gonfiata aggiungendo il numero “3” alla spesa realmente sostenuta, 23 euro, per un singolo “pasto completo”. Più una seconda da 270 euro di febbraio 2011 per “8 pasti a prezzo fisso” in un ristorante di Matera, che è risultata alterata aggiungendo un “2” alle 70 euro effettivamente spese per “due pasti”.
La Corte ha dichiarato un ulteriore “non luogo a procedere”, per morte dell’imputato, nei confronti dell’ex consigliere Gerardo Nardiello (Pdci), che pure aveva impugnato la sentenza di primo grado.
Per Viti, Gentile e Pagliuca, in relazione ai fatti oggetto di condanna o di dichiarazione di prescrizione, confermate le statuizioni civili, pertanto dovranno risarcire la Regione Basilicata per il danno d’immagine arrecatole.

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