L’aula dove si riunisce il plenum del Consiglio superiore della Magistratura
4 minuti per la letturaPOTENZA – Le irregolarità segnalate dall’ex sindaca di Lagonegro Maria Di Lascio non integrano una causa di incompatibilità ambientale né un illecito disciplinare dei pm della Direzione distrettuale antimafia di Potenza che hanno coordinato le indagini sul conto suo e degli altri imputati nell’ambito dell’inchiesta sulla “mala politica lucana”.
E’ questo il verdetto a cui è giunta la prima commissione dell’organo di autogoverno della Magistratura, competente per le cause di incompatibilità ambientale delle toghe.
La proposta di archiviazione dell’esposto presentato dall’ex sindaca lo scorso 6 febbraio è stata già inserita all’ordine del giorno della seduta di mercoledì prossimo del plenum di Palazzo dei marescialli. Trattandosi di una pratica approvata all’unanimità in commissione è stata inserita tra quelle che dovrebbero essere votate in blocco all’inizio della seduta.
Nella bozza di delibera si legge che l’archiviazione sarebbe necessaria: «non essendovi provvedimenti di competenza del Consiglio da adottare». Questa la formula di rito adottata allorquando, per lo stesso Csm: «una determinata vicenda non integri il presupposto di cui all’articolo 2 legge guarentigie (incompatibilità ambientale, ndr) e, allo stesso tempo, non risulti riconducibile ad una delle figure di illecito disciplinare delineate dal catalogo introdotto dal decreto legislativo 23 febbraio 2006 numero 109».
Al netto di eventuali, residuali segnalazioni alle altre commissioni del Csm competenti per l’assegnazione e la revoca di incarichi direttivi, e le valutazioni di professionalità da cui dipendono gli scatti di anzianità di servizio delle toghe. A ottobre dell’anno scorso Di Lascio era finita ai domiciliari su richiesta della Dda di Potenza, quindi era decaduta dall’incarico di prima cittadina a causa della crisi politica aperta nella sua maggioranza dall’inchiesta sulle presunte corruttele consumate in occasione della sua elezione, e un presunto sistema di potere interno alla maggioranza regionale che avrebbe voluto «speculare» sulla ristrutturazione dell’ospedale di Lagonegro e la gestione della sanità più in generale.
In seguito il Tribunale del riesame, invece, aveva escluso la configurabilità di un’ipotesi più grave di corruzione in senso proprio per i fatti contestati, derubricandoli a episodi di corruzione elettorale. Di qui il ritorno in libertà di Di Lascio, che ha iniziato a denunciare, pubblicamente, una serie di anomalie nella conduzione dell’inchiesta, definita «un’indagine politica» per sovvertire la sua elezione.
A metà aprile Di Lascio e altre 28 persone erano state raggiunte da un avviso di conclusione delle indagini della Dda di Potenza, prodromico a una richiesta di rinvio a giudizio. Nei prossimi giorni, quindi, è attesa la notifica della fissazione dell’udienza preliminare.
Oltre a Di Lascio tra i destinatari dell’avviso, per altre vicende, spiccano il governatore Vito Bardi, il senatore Gianni Rosa (FdI), i due assessori regionali in carica della Lega, Francesco Fanelli e Donatella Merra, il capogruppo di Forza Italia in Consiglio regionale, Francesco Piro, il direttore generale del San Carlo, Giuseppe Spera, il direttore sanitario dell’Asp, Luigi D’Angola, e l’ex direttore generale del dipartimento regionale Salute, e attuale subcommissario regionale alla Sanità della Regione Calabria, Ernesto Esposito.
Bardi risulta indagato, in particolare, per una tentata induzione indebita in concorso con l’ex assessore e attuale consigliere regionale FdI, Rocco Leone e l’ex capo dell’ufficio legislativo della presidenza della giunta regionale, Antonio Ferrara, in relazione alle presunte pressioni esercitate su un avvocato della Regione, Valerio Di Giacomo (non indagato, ndr).
Pressioni indirizzate ad ammorbidire la difesa della Regione davanti al Tar Basilicata, rispetto al ricorso presentato da Spera (e in seguito accolto dai giudici amministrativi) contro la nomina del suo predecessore alla guida del San Carlo, Massimo Barresi, scelto dalla vecchia giunta di centrosinistra e inviso all’amministrazione Bardi. Lo stesso Barresi che avrebbe dato il “la” all’inchiesta denunciando di aver ricevuto pressioni di vario tipo.
Bardi, Leone, Cupparo, Fanelli, Merra e l’allora assessore regionale all’Ambiente Rosa sono accusati anche di abuso d’ufficio per aver incaricato il direttore generale del Dipartimento sanità di «dare istruzioni» agli avvocati della Regione sulla linea difensiva da adottare nel contenzioso sulla legittimità delle nomina di Barresi.
Cinque dei sei componenti della vecchia giunta regionale (Bardi, Leone, Cupparo, Fanelli e Rosa) risultano indagati anche per un’ultima ipotesi di tentata induzione indebita per il taglio, a luglio del 2020, dei fondi destinati al San Carlo all’epoca ancora guidato da Barresi, ormai inviso all’amministrazione regionale.
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