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Depositate le motivazioni del rigetto del ricorso dei pm Antimafia di Potenza in Cassazione: su Donato Macchia cadono le ombre di mafiosità
POTENZA – Gip e Tribunale del riesame di Potenza hanno dato «puntuale e logica contezza dell’assenza degli elementi indiziari» a carico del patron del Potenza calcio Donato Macchia, dell’ex patron del Melfi calcio, Lorenzo Navazio, e del 42 enne melfitano Lorenzo Delli Gatti, «cui collegare la sussistenza della circostanza aggravante speciale dell’aver agito al fine di agevolare l’associazione di stampo mafioso», soprannominata clan Di Muro – Delli Gatti. A proposito della presunta turbativa dell’asta per l’acquisto di alcuni terreni, nel comune di Melfi, di proprietà dell’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo e Alimentare — Banca Nazionale delle terre agricole (Ismea).
È quanto scrive la Corte di cassazione nelle motivazioni della sentenza con cui aveva dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla Direzione distrettuale antimafia di Potenza proprio contro il mancato riconoscimento dell’aggravante mafiosa sulla presunta turbativa d’asta emersa dall’ultima inchiesta sugli affari del clan melfitano dei Di Muro -Delli Gatti. Mancato riconoscimento che a luglio dell’anno scorso aveva indotto il gip Teresa Reggio a respingere la richiesta di arresti domiciliari per Navazio e Macchia: editore, imprenditore molto attivo nel settore delle energie rinnovabili, e presidente della squadra di serie C del Potenza calcio.
In aula anche il procuratore generale Alessandro Cimmino, si era associato alla richiesta di rigetto del ricorso dei difensori dei tre indagati: l’avvocato Giuseppe Colucci per Delli Gatti, Raffaella Quintana per Macchia e Donatello Cimadomo per il Navazio.
La Cassazione ha pertanto avvalorato le argomentazioni dei giudici potentini che avrebbero «convincentemente spiegato come, in un contesto indiziario che aveva permesso di accertare che Lorenzo Delli Gatti aveva turbato, unitamente agli altri suddetti indagati, la procedura pubblica per l’assegnazione di un lotto agricolo (così assegnato ad una prestanome con l’intesa che lo stesso fondo sarebbe stato poi a lui affidato per la realizzazione di un impianto fotovoltaico), i dati di conoscenza avessero – allo stato – consentito di appurare che si era trattata di una iniziativa del tutto personale del prevenuto (Delli Gatti, ndr), interessato ad utilizzare i relativi guadagni per l’acquisto della casa familiare, senza alcun coinvolgimenti di affiliati alla organizzazione di stampo mafioso di cui lo stesso Lorenzo Delli Gatti era stato ritenuto gravemente indiziato di essere partecipe, e senza alcun collegamento con interessi economici di altri sodali facenti parte di quel gruppo criminale».
Per il giudici della sesta sezione presieduta da Massimo Ricciarelli, inoltre, il ricorso dei pm lucani, guidati dal procuratore Francesco Curcio, sarebbe stato presentato per denunciare non un «travisamento delle prove», che rientrerebbe nella competenza della Cassazione sotto il profilo della legittimità, bensì un «travisamento dei fatti».
In altri termini, gli inquirenti avrebbero sollecitato «una inammissibile rivalutazione del materiale d’indagine rispetto al quale è stato proposto un significato alternativo rispetto a quello privilegiato dal Tribunale (del Riesame, ndr)».
«Valutazione, questa – prosegue la Cassazione -, che vale soprattutto in considerazione del fatto che gli elementi indiziari sono stati desunti principalmente dal contenuto delle conversazioni intercettate durante le indagini: materiale rispetto al quale si pone un mero problema di interpretazione delle frasi e del linguaggio usato dai soggetti interessati in quelle conversazioni intercettate, che è questione di fatto, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae al giudizio di legittimità se, come nella fattispecie è accaduto, la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate».
I giudici di Trastevere hanno convalidato anche la dichiarazione di incompetenza di gip e Tribunale del riesame di Potenza rispetto alla presunta turbativa d’asta in questione, dal momento che l’asta si era svolta a Roma.
Spetterà ai pm della capitale, quindi, decidere se portare avanti l’accusa, chiedendo il rinvio a giudizio di Macchia, Navazio e Delli Gatti, o chiedere l’archiviazione. O dichiararsi a loro volta incompetenti restituendo le carte a Potenza ravvisando l’aggravante mafiosa nonostante le pronunce di gip, Riesame e Cassazione.
Alla base del coinvolgimento del patron del Potenza calcio nello schema della presunta turbativa messo a fuoco dagli inquirenti potentini ci sono una serie di intercettazioni telefoniche, di qualche giorno successive alla presentazione delle offerte per l’acquisto di quel lotto di terreni nell’agro di Melfi. All’inizio dell’estate del 2020.
In una di queste, in particolare, si sentirebbe il presunto boss Delli Gatti, formalmente incensurato, riferire a Navazio l’ammontare dell’offerta avanzata da Macchia, che in quel momento sarebbe stato di fronte a lui, e la sua disponibilità a tirarsi «indietro» dalla competizione per non intralciare l’aggiudicazione a favore della ditta della sorella Vincenza Navazio, che poi avrebbe dovuto garantire gli interessi di Delli Gatti sulla raccolta della paglia e quant’altro.
Negli atti dell’inchiesta dell’Antimafia lucana, però, si evidenziano anche «i legami e le cointeressenze» che avrebbero avvinto Delli Gatti a Macchia successivamente. A fine luglio 2020, in particolare, Delli Gatti avrebbe annunciato alla moglie l’assunzione come custode di alcuni terreni per un corrispettivo da mille euro al mese
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