La conferenza stampa dell'operazione Lucania Felix
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Le motivazioni del processo Lucania Felix sul clan Martorano: per i giudici è mafia, decisivo il codice coi riti di affiliazione alla ‘ndrangheta consegnato ai pm dal figlio del boss
POTENZA – È il «codice di mafia» fotografato da Natale Stefanutti a casa di Donato Lorusso, la prova regina della “mafiosità” dello storico clan di Potenza guidato dal padre, Dorino Stefanutti, e da Renato Martorano.
Perché un documento del genere, con quelle «annotazioni manoscritte relative a soggetti (realmente esistenti) e a cariche criminali osservate in seno alle cosche della ‘ndrangheta calabrese, nonché a regole e riti di costituzione di un nuovo cosiddetto “locale” ed ancora di affiliazione di un nuovo associato, con indicazione finanche delle date in cui tenere le cerimonie criminali – non poteva trovarsi in possesso dell’indagato Lorusso Donato, se questi non fosse stato “riconosciuto” come appartenente ad organizzazioni criminali di stampo mafioso legate alla ‘ndrangheta calabrese ed in specie alle cosche del crotonese».
LUCANIA FELIX, PER I GIUDICI IL CLAN MARTORANO È VERA MAFIA
È quanto scrive il gup Teresa Reggio nelle motivazioni della sentenza con cui a fine gennaio ha condannato 8 dei 32 imputati nel processo principale nato dall’inchiesta Lucania Felix, che avevano optato per il rito abbreviato, a a pene tra i 5 e i 12 anni abbondanti di reclusione, già scontati di un terzo per la scelta del rito abbreviato. Assolvendo soltanto l’ex segretario della Uiltucs Basilicata, Rocco Della Luna, dall’accusa di concorso esterno nel clan, e il calabrese Salvatore Romano, genero di Ernesto Grande Aracri, che è il fratello del più noto Nicolino “mano di gomma”, considerato tra i più potenti capi della ‘ndrangheta crotonese.
Il gup ha ripercorso, in particolare, le pronunce di Riesame e Cassazione, che hanno confermato i gravi indizi alla base degli arresti effettuati a novembre 2021 dall’Antimafia di Potenza.
«È emersa, quindi, a riprova della caratura delinquenziale raggiunta dalla consorteria in trattazione – scrive il giudice -, la contiguità operativa della stessa sia (a livello regionale) con i clan “Di Muro-Delli Gatti” di Melfi e “Scarcia”/“Mitidieri” di Policoro – che ha consentito al clan Martorano-Stefanutti di estendere la propria sfera d’influenza anche nell’area materana e del Vulture-Melfese, sì da acquisire il controllo dell’intera regione Basilicata (…) e (a livello nazionale) con i sodalizi mafiosi della ‘ndrangheta calabrese, come la cosca “Grande Aracri” di Cutro, la cosca “Manfredi- Nicoscia” di Isola Capo Rizzuto e quella dei “Bellocco” di Rosarno. Legami che hanno trovato input, per lo più, all’interno del circuito penitenziario, nei periodi di comune detenzione dei rispettivi maggiori esponenti».
DETERMINANTE L’APPORTO DEI PENTITI DEL CLAN GRANDE ARACRI
Tra i pentiti che hanno reso dichiarazioni di «assoluto rilievo» il gup indica anche il genero di un altro fratello di Nicolino Grande Aracri, Antonio. Vale a dire Giuseppe Liperoti, che agli inquirenti ha raccontato dei rapporti del clan con un «Donato» di Potenza, identificato in Lorusso. Ma c’è spazio anche per Giuseppe D’Elia di Montescaglioso e il potentino Antonio Cossidente.
Quanto agli affari presi di mira dal clan di Potenza e dai suoi alleati calabresi spiccano la «co-gestione dellemacchinette videopoker» e «la congiunta operatività in altro lucroso settore d’avanguardia criminale, ossia l’installazione dei parchi eolici». Come pure «le significative discussioni intercorse fra i sodali lucani e gli esponenti della malavita organizzata calabrese circa l’acquisto di una cava; l’individuazione del porto più vicino, atteso che le pale eoliche venivano importante dai Paesi esteri via mare e la certezza di Grande Aracri Nicolino che la realizzazione del parco eolico, previsto nel territorio di Potenza, era un lavoro già preso e che li avrebbe informati in merito alle ditte che avrebbero dovuto terminare altri lavori».
La sentenza si sofferma anche sui rapporti gestiti dalla figlia di Stefanutti, per conto del padre, con alcuni esponenti di cosa nostra siciliana. Inclusa una presunta “raccomandazione” che lei, dipendente della ditta che si occupa delle pulizie all’ospedale San Carlo di Potenza, avrebbe fatto a un primario dell’ospedale, sempre per conto del padre, perché mostrasse riguardo per un detenuto nel carcere di Alta sicurezza di Melfi bisognoso di un intervento chirurgico.
LUCANIA FELIX, IL CLAN MARTORANO E LE OSTENTAZIONI PUBBLICHE DI MAFIA
Quanto alla “mafiosità” del clan Stefanutti-Martorano la sentenza annovera tra le «plateali ostentazioni pubbliche della mafiosità» un episodio risalente addirittura al 2009, quando Dorino Stefanutti avrebbe aggredito un poliziotto fuori servizio che collaborava con il Potenza calcio intimandogli di riferire una serie di minacce al presidente dell’epoca della società sportiva, Giuseppe Postiglione, attualmente alla guida del gruppo editoriale di famiglia. Episodio che il giudice considera «ancor più degno di nota» data l’assoluzione incassata da Stefanutti al termine del relativo processo, e che sarebbe stata «determinata – per gran parte – dalla decisione del Postiglione, vittima del delitto, di avvalersi della facoltà di non rispondere», e dalla condanna del poliziotto aggredito «per il reato di favoreggiamento consumato proprio nei confronti di Stefanutti».
«Il sodalizio – insiste ancora il gup ripercorrendo le decisioni di Riesame e Cassazione suglia rresti – ha saputo creare una peculiare di forma co-gestione e controllo di talune società impegnate in ambiti economici strategici, attraverso una peculiare ingerenza manageriale degli esponenti di spicco del clan, hanno individuato le attività e i settori nei quali il clan Martorano-Stefanutti ha, in concreto, fatto valere il proprio peso mafioso».
LA POSIZIONE DI DELLA LUNA
Quanto al principale di questi «ambiti economici strategici» presi di mira, ovvero quello delle pulizie al San Carlo di Potenza, però, il gup ha escluso l’esistenza di una reale «sponda sindacale» nella persona di Della Luna, rispetto a un altro imputato, il referente della ditta Kuadra srl, che gestiva il servizio fino a qualche anno fa, Giovanni Tancredi.
«Non può ragionevolmente sostenersi, in assenza di elementi univoci in tal senso e tenuto conto del fatto che nessuno dei dichiaranti ha riferito di condotte intimidatorie poste in essere direttamente dal Della Luna – si legge in sentenza -, che tra l’imputato e il Tancredi vi fosse un accordo finalizzato a indurre i dipendenti della Kuadra s.r.l. ad iscriversi al sindacato del Della Luna, attraverso modalità intimidatorie anche solo velatamente evocative dell’intervento della compagine criminosa, né può ragionevolmente sostenersi il Della Luna fosse a conoscenza delle pressioni che il Tancredi esercitava per indurre i dipendenti ad iscriversi al suo sindacato».
Sul punto sarebbero insufficienti anche le dichiarazioni di Natale Stefanutti, che non avrebbe chiarito le circostanze in cui aveva appreso alcune delle informazioni riferite.
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