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Francesco Piro

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I pm tornano sul sistema Lagonegro, le carte della maxi inchiesta Malapolitica lucana dei magistrati di Potenza al vaglio della Cassazione

POTENZA – Quanto accaduto in occasione delle ultime elezioni amministrative a Lagonegro sarebbe un «fatto storico incontrastato sul piano della gravità indiziaria».

Ma sarebbe solo una delle espressioni di un «sistema» in cui il capogruppo di Forza Italia, Francesco Piro, in Consiglio regionale avrebbe venduto le sue funzioni pubbliche. Per questo apparirebbe «eversiva» la tesi per cui «la concomitante campagna elettorale in corso ed il fatto che la merce di scambio per il pubblico ufficiale sia la promessa di voti o candidature» debba attenuare «anziché aggravare» la condotta del pubblico ufficiale «e del suo corruttore».

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C’è anche questo tra gli argomenti che il 14 marzo saranno al vaglio della Corte di cassazione, nell’udienza convocata sui ricorsi dei pm di Potenza contro la revoca delle misure cautelari disposte a ottobre nei confronti dell’ex sindaca di Lagonegro, Maria Di Lascio, dell’ex assessore regionale all’Agricoltura Franco Cupparo (Fi), e del direttore generale dell’Azienda ospedaliera San Carlo, Giuseppe Spera.

MALAPOLITICA LUCANA, IL CAPITOLO LAGONEGRESE AL VAGLIO DELLA CASSAZIONE

Al centro del capitolo lagonegrese della maxi-inchiesta sulla “mala politica lucana” del pm Vincenzo Montemurro e del procuratore Francesco Curcio ci sono entrambi, Piro e Di Lascio. Anche se a rischiare il ripristino degli arresti domiciliari è la sola ex sindaca, dal momento che il consigliere regionale si è visto revocare l’obbligo di dimora a Lagonegro per effetto della decisione del Tribunale del riesame nei confronti della prima, più Cupparo e Spera.

Decisione che gli inquirenti hanno impugnato nel tentativo di salvare l’impianto di un’inchiesta che a ottobre ha terremotato i vertici della Regione Basilicata e della sanità lucana. D’altronde tra gli indagati a piede libero per abuso d’ufficio e concussione compaiono anche il governatore Vito Bardi, l’attuale assessore alla sanità Francesco Fanelli (Lega), e il senatore Gianni Rosa (FdI).

Nel mirino dei pm sono finite le censure del Riesame presieduto da Aldo Gubitosi (intanto trasferito a Salerno) sull’attendibilità dei supertesti dell’accusa su altri filoni d’indagine, che hanno preso in esame il progetto di ristrutturazione dell’ospedale di Lagonegro e la gestione della sanità lucana nel suo complesso. Vale a dire l’ex direttore generale del San Carlo, Massimo Barresi, e l’ex segretario particolare di Bardi, Mario Araneo.

LA DECISIONE DEL RIESAME SUL COINVOLGIMENTO DI GIUSEPPE SPERA

Rispetto ai fatti collegati alle elezioni che hanno consegnato la fascia tricolore a Di Lascio, invece, il Riesame aveva escluso il coinvolgimento di Spera, che sarebbe stato ignaro del movente “elettoralistico” dietro alle problematiche relative a diversi cittadini del centro valnocino sottopostegli da Piro. Inoltre aveva evidenziato che a suo avviso non vi sarebbero gli estremi per ipotizzare un reato più grave come la corruzione in senso stretto. Mentre sarebbe configurabile un’ipotesi di “semplice” corruzione elettorale, che è punita con pene troppo basse per disporre le misure cautelari per un indagato.

E’ stato su questa interpretazione giuridica, quindi, che Curcio e Montemurro hanno concentrato le loro critiche, denunciando la «totale disapplicazione» di «basilari regole del diritto penale».

I magistrati hanno definito Piro il «principale soggetto promotore ed organizzatore di tutte le fattispecie illecite». Quindi hanno ribadito che lui e i «coindagati» avrebbero «agito offrendo ad elettori specifiche utilità». Vuoi «per ottenere la firma per una dichiarazione di presentazione di candidatura altrui», o «per ottenere il voto con accordo diretto fra costoro ed uno o più elettori». Vuoi «in cambio di una attività di procacciamento dei voti».

Quanto a Di Lascio, Curcio e Montemurro hanno sottolineato che all’epoca dei fatti era ancora una semplice «privata cittadina», che agiva di concerto (e sotto la regia) del Piro, pubblico ufficiale in quanto consigliere regionale della Basilicata e capo gruppo al Consiglio regionale (circostanza in punto di fatto pacifica poiché neppure il Riesame la mette in discussione)».

PIRO E L’ATTIVITÀ SVOLTA IN RELAZIONE ALLE ELEZIONI DI DI LASCIO

«Invero – hanno aggiunto gli inquirenti potentini – , l’impegno a candidarsi o fare candidare altri, l’impegno a votare e fare votare la Di Lascio, veniva assunto — dato assolutamente dirimente sotto un profilo logico-giuridico — in quanto il pubblico ufficiale Piro — avvalendosi dei suoi poteri (descritti in modo puntuale nei capi di accusa in esame (…) si impegnava attraverso prospettate (e realizzate) ingerenze su dirigenti regionali della sanità, ovvero su imprenditori legati a rapporti con la pubblica amministrazione, a garantire il tornaconto economico e professionale dei “portatori di voti e condidature” (“qui la pezza e qui il sapone” dicevano letteralmente e plasticamente in un caso i soggetti avvicinati per portare voti e candidature)».

Dunque: «l’interlocutore vero e reale dei predetti “portatori di voti e candidature” era (…) il pubblico ufficiale Piro e non certo la Di Lascio che ovviamente non poteva garantire alcuno dei favori ri- chiesti. Era il pubblico ufficiale Piro a fare promesse e ad impegnarsi ad abusare del proprio ufficio, a compromettere il prestigio e l’imparzialità della pubblica amministrazione, per ottenere dai privati utilità e cioè “pacchetti di voti” per la Di Lascio, che era il suo “delfino” politico».

MALAPOLITICA LUCANA, LE CONCLUSIONI DEI PM NELLE CARTE INVIATE IN CASSAZIONE

In conclusione, per i pm, «il “sistema” emerso dalle imputazioni qualificate dal pm come induzioni indebite e in seguito più correttamente come ipotesi di corruzione da parte del gip (tesi, si ripete, che questo ufficio fa propria) è espressione di uno “scambio di favori”».

Ossia di «un rapporto sinallagmatico tra candidatura con messa a disposizione di un bacino di voti di cui il soggetto dispone, al servizio del pubblico ufficiale che in cambio utilità (assunzioni, trasferimenti, promozioni) assicurate mediante abuso della sua qualità, cioè con ingerenza indebita su soggetti indotti ad effettuare tali assunzioni, trasferimenti, promozioni (come visto anche in premessa, non solo nel settore della sanità, ma anche su società dell’indotto Eni — che operano sulla base di concessioni regionali – e soggetti su cui i pubblici ufficiali indagati esercitano forme di ingerenza in ragione della carica) e quindi, nella sostanza, mediante atti contrari ai doveri d’ufficio (ossia non improntati sull’imparzialità, buon andamento, economicità ed efficacia dell’azione amministrativa)».

A metà ottobre dell’anno scorso Di Lascio è decaduta dalla carica di sindaco per le dimissioni della maggioranza dei componenti del consiglio comunale presentate in seguito al suo arresto.

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