Il tribunale di Potenza
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Operai morti a Forenza, otto anni dopo il verdetto d’appello per il decesso dei due lavoratori di Gravina di Puglia: tre condanne
POTENZA – Tre condanne e un’assoluzione per la morte, a ottobre del 2014 a Forenza, di due operai di Gravina di Puglia. Le due vittime erano impiegate nella realizzazione della copertura di una concimaia: Lorenzo Scalese, di 45 anni, e Paolo Lopez, di 24. Lo ha deciso, nei giorni scorsi, il collegio della Corte d’appello di Potenza presieduto da Cataldo Collazzo e completato da Vittorio Santoro e Rosa D’Amelio.
I giudici hanno confermato la condanna a 2 anni di reclusione per il committente dei lavori Luigi Iasi, 62enne di Forenza assistito dagli avvocati Emanuele Brunetti e Federico Pagano. Stessa condanna per Cornelio Bertasi 70enne siciliano, titolare della ditta incaricata da Iasi della costruzione della concimaia, difeso da Paolo Soardo. Come pure la condanna a 3 anni di Angelo Raffaele Scalese, 49enne di Gravina, fratello del defunto Lorenzo, con cui gestiva una ditta subappaltatrice dei lavori affidati a Bertasi, che era difeso dagli avvocati Francesco Paolo Sisto e Roberto Di Marzo.
OPERAI MORTI A FORENZA, OLTRE ALLE CONDANNE ANCHE UN’ASSOLUZIONE
Annullata, invece, una quarta condanna a 2 anni di reclusione che i giudici avevano inflitto in primo grado al coordinatore della sicurezza sul cantiere, il 63enne di Acerenza, Nicola La Gala, che era assistito da Gianfranco Robilotta.
«Il tragico evento consumatosi presso l’Azienda Agricola lasi in data 22 ottobre 2014 – riporta la sentenza di primo grado appena confermata in massima parte – è stato cagionato da un pannello che, sollevatosi per il vento, ha colpito Lopez Paolo e Scalese Lorenzo, intenti a lavorare in quota – senza alcun presidio di sicurezza individuale o collettivo – per l’installazione dei pannelli stessi. La caduta dall’alto ha provocato la morte istantanea dello Scalese Lorenzo e la morte per politrauma del Lopez Paolo».
A riferire l’accaduto in Tribunale era stato un altro operaio. Questi manovrava il sollevatore telescopico utilizzato per portare a 10 metri di altezza i pannelli da sistemare a copertura della concimaia in costruzione. Pannelli che Lopez, Scalese, e altri due operai, in equilibrio con «i piedi appoggiati sulle travi» avrebbero dovuto prendere e posizionare. Fino a quanto il vento non ne ha sollevato uno colpendo i primi due e facendoli precipitare al suolo.
Quanto alle misure di sicurezza, il giudice che a gennaio del 2018 ha emesso la sentenza di primo grado, Natalia Catena, evidenzia che «non vi erano infatti né ponteggi, né imbracature e i caschi, del tutto insufficienti ove pure fossero stati a norma attesa l’altezza di circa dieci metri dove i lavori venivano svolti, mancavano addirittura del sottogola».
OPERAI MORTI A FORENZA, CONDANNE DOVUTE ALLA CONNESSIONE TRA L’EVENTO E LE OMISSIONI
«Dunque l’evento morte – prosegue la sentenza – è da porsi in diretta connessione con la omissione delle precauzioni imposte dal legislatore, così potendo dirsi provato senza alcun dubbio (e, del resto, senza alcuna deduzione delle parti sul punto) il nesso di causalità, quel elemento costitutivo del reato».
Sulle responsabilità degli imputati il giudice di primo grado aveva evidenziato l’inerzia, per quando riguarda Iasi, di fronte a una patente violazione delle più elementari norme anti infortunistiche».
I MOTIVI LEGATI ALL’ENTITÀ DELLE PENE
«Se può risultare complesso per una persona pure di media cultura e diligenza – aveva aggiunto il giudice – valutare un “piano di sicurezza e coordinamento”, chiunque sia dotato di un minimo buon senso è in grado di comprendere che movimentare pannelli da 80 chili, a oltre dieci metri di altezza, poggiando su una superficie non più ampia di 25 centimetri, è drammaticamente pericoloso».
Veementi anche le critiche a Bertasi che non avrebbe fatto una piega di fronte a un’offerta di subappalto della ditta degli Scalese in cui non erano nemmeno indicati gli oneri per la sicurezza, mostrando «un disinteresse per la questione, certamente riprovevole ove si consideri che — per ammissione dello stesso imputato — la ditta si occupa di realizzazione di stalle da oltre 40 anni».
Alla base dell’esiguità delle condanne inflitte per un’accusa di omicidio colposo in concorso, quindi, i giudici avrebbero considerato solo l’«atteggiamento corretto e privo di condotte dilatorie» tenuto in udienza dagli imputati. Di qui la concessione delle attenuanti generiche.
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