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Mario Araneo e Massimo Barresi

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POTENZA – C’è una doppiezza di base che attraversa la maxi-inchiesta dei pm di Potenza sulla malapolitica lucana, appena “azzoppata” dalla revoca delle misure cautelari decisa dal Tribunale del riesame. Ed è una doppiezza che si estende persino alle espressioni del termine “antimafia”, se è vero – come è vero – che il superteste numero 1 dei pm “antimafia”, l’ex direttore generale del San Carlo Massimo Barresi, decise la nomina della sua portavoce a cena col superteste numero 2, Mario Araneo, all’epoca segretario del governatore Vito Bardi, e il figlio di lei, l’imprenditore ed editore potentino del gruppo “Cronache”, Giuseppe Postiglione. Lo stesso giorno in cui il Tar Basilicata aveva confermato l’interdittiva “antimafia” emessa nei confronti di quest’ultimo dalla Prefettura di Potenza.

Sono considerazioni così ad aleggiare con insistenza sulla vicenda giudiziaria che il 7 ottobre si è abbattuta sulla Regione Basilicata, provocando le dimissioni di due consiglieri regionali e lo scioglimento del Comune di Lagonegro.

LO STATO DELL’INCHIESTA

Per conoscere le motivazioni che hanno spinto il Riesame ad annullare le misure cautelari chieste e ottenute dal pm titolare dell’inchiesta, Vincenzo Montemurro, e dal procuratore capo di Potenza, Francesco Curcio, potrebbe volerci qualche settimana. Poi inizieranno a decorrere i termini per il probabile ricorso degli inquirenti in Cassazione. Ma anche la pronuncia dei giudici della Suprema corte potrebbe richiedere diversi mesi.

Il risultato, nell’opinione pubblica, è una sensazione di disorientamento che in Basilicata non si registrava da tempo. Forse addirittura dal 2004, quando un altro tribunale del riesame ridimensionò la prima maxi-inchiesta lucana dello stesso pm Montemurro, e del collega Henry John Woodcock. Un disorientamento che si traduce in diffidenza rispetto all’operato della macchina della giustizia, e divide in tifoserie chi prova a farsi un’idea su un caso così importante per le vicende politiche della regione. Come se visioni differenti siano espressione, per forza, di uno scontro tra magistrati. Con i colpevolisti schierati contro il Riesame, che non mancano di rievocare il trasferimento d’ufficio pendente – per altre vicende – sul presidente del collegio, Aldo Gubitosi. E gli innocentisti che si interrogano su una serie di contraddizioni emerse dagli atti dell’inchiesta, e i motivi per i quali la procura guidata da un magistrato di grande credibilità come Francesco Curcio, al di là delle singole vicende, abbia sposato un teorema onnicomprensivo tanto audace.

Vale a dire che all’interno della Regione Basilicata si sarebbe annidato un «gruppo di potere» deviato, guidato da 3 dei 5 destinatari delle misure cautelari eseguite il 7 ottobre. Ovvero gli ex assessori Franco Cupparo e Rocco Leone e l’ex capogruppo di Forza Italia in Consiglio regionale, Francesco Piro. «Gruppo di potere» impegnato a favorire la destituzione di Barresi dalla guida del San Carlo non tanto per le numerose, oggettive problematiche emerse durante la sua gestione, bensì – a detta di Araneo – per «le mancate adesioni (…) alle continue richieste di sistemazione di amici che provenivano dagli assessori e/o richieste inerenti la regolamentazione dei cospicui interessi sottesi alla realizzazione del nuovo ospedale di Lagonegro secondo il volere degli stessi assessori».

L’INTERROGATORIO MANCANTE

Dagli atti allegati all’ordinanza eseguita il 7 ottobre risultano due diversi interrogatori dell’ex segretario del governatore, allontanato nell’autunno del 2021 dai vertici della Regione dopo le notizie pubblicate dal Quotidiano del Sud a proposito dei furbetti del vaccino.

Del primo, però, non è stata depositata la trascrizione. Pertanto non solo non è possibile ricostruirne il contenuto, ma non è escluso che possa aver alimentato anche ulteriori filoni d’indagine destinati a venire alla luce più avanti. Una volta trovati i riscontri necessari.

Quanto all’attendibilità complessiva di Araneo, poi, resta da chiarire la vicenda denunciata da Piro, durante il suo interrogatorio di garanzia, della mazzetta che il primo gli avrebbe chiesto nel 2016 per “aggiustare” una verifica fiscale sulla sua azienda, tramite non meglio precisati agganci nella Guardia di finanza. Nei giorni scorsi, infatti, Araneo ha già annunciato di aver sporto querela nei confronti del difensore di Piro, l’avvocato Sergio Lapenna, che aveva riferito in pubblico della circostanza raccontata dal suo assistito.

LE ALTRE ACCUSE DI PIRO

Al gip che lo aveva messo in carcere, però, Piro ha raccontato anche altri strani atteggiamenti dell’ex segretario del governatore, definiti, alternativamente, come «vanterie» o «millanterie». Affermazioni da valutare con la massima prudenza, quelle dell’ex capogruppo azzurro, ma che andrebbero comunque verificate per fugare ogni possibile sospetto. Tanto più che già in un lontano passato, quando faceva ancora parte della segreteria di un ex governatore di centrosinistra come Vito De Filippo, Araneo venne intercettato mentre suggeriva a un amico amministratore locale la strategia migliore per farsi valere in Regione. Ovvero prospettando al governatore l’intenzione di andare dai pm a riferire fatti sconvenienti nei suoi confronti.

«Lui vantava anche amicizie nella procura di Potenza, nella procura di Lagonegro». Queste le parole pronunciare da Piro davanti al gip Antonello Amodeo, che solo sabato scorso gli ha concesso un più blando obbligo di dimora a Lagonegro in luogo degli arresti domiciliari.

«Dice – aggiunge il consigliere regionale dimissionario riferendo le parole che avrebbe pronunciato Araneo: “Te la farò pagare a Lagonegro, te la farò pagare a Potenza, io vado a mangiare con Tizio, vado a mangiare con Caio”». «Lui millantava crediti importanti nella procura di Lagonegro e Potenza – ha ribadito ancora Piro – e che anche lui me l’avrebbe fatta pagare».

LA CENA E IL VERDETTO DEL TAR

Assomiglia a un vero e proprio corto circuito, invece, la vicenda della nomina della portavoce del dg Barresi, che stando a quanto ricostruito dagli investigatori sarebbe stata propiziata da una cena, il 29 gennaio del 2020, tra lo stesso dg, Araneo, il figlio della portavoce, Postiglione, e una quarta persona non identificata con certezza.

Ai carabinieri Barresi ha spiegato di non aver ricevuto alcuni tipo di indicazioni rispetto alla nomina effettuata all’indomani della cena («L’ho assunta io personalmente, perché sapevo chi fosse, ed anche perché viene da una testata giornalistica, che è il giornale Le Cronache Lucane. Tale testata ha condiviso la linea aziendale e non ha mai pretestuosamente attaccato l’azienda ospedaliera»). Le intercettazioni nell’ufficio di Leone, però, lo avrebbero smentito, raccogliendo la sua confessione sull’esistenza uno schema concordato con Araneo, in cui era inclusa anche l’assegnazione dell’incarico di portavoce del governatore per un giornalista di un’altra testata “amica”.

Dai brogliacci di quelle conversazioni, inoltre, non emergerebbero soltanto le contraddizioni del superteste rispetto a quanto riferito ai carabinieri. Ma persino un certo modo di pensare, alquanto particolare. Dopo l’esplosione di un vero e proprio caso politico attorno alla nomina compiuta, infatti, l’allora assessore alla Sanità Leone avrebbe riferito al dg dell’azienda ospedaliera regionale delle pesanti ombre giudiziarie attorno alla figura Postiglione, che all’epoca era ancora a processo per mafia, oltre che per il presunto porno-ricatto a un assessore del Comune di Potenza.

E quale è stata la risposta del supertestimone dei pm Antimafia, arrivato in Basilicata poco più di un anno prima da un’azienda ospedaliera campana commissariata proprio per infiltrazioni camorristiche, annunciando l’intenzione di riportare la legalità al San Carlo? Una risposta a dir poco equivoca, stando al brogliaccio redatto dai carabinieri. «Barresi gli chiede se non è meglio così». E poi ancora. «Barresi gli dice che ce l’ha vicina questa portavoce».

Al che Leone insiste «con tono adirato», dicendogli che non va bene, ma il dg resiste, spiegandogli che non può mandarla via perché ormai ha un contratto. Quindi aggiunge che possono comunque «tirare dalla loro parte» quella «persona», altrimenti «se la metteranno ancora più contro» e «finisce ancora più tragicamente».

Il 29 gennaio 2020, stesso giorno della cena con Barresi, Araneo, e una quarta persona non identificata con certezza, il Tar Basilicata aveva respinto il ricorso contro l’interdittiva antimafia emessa qualche settimana prima nei confronti di Giuseppe Postiglione dal prefetto di Potenza sulla base del parere espresso dal Gruppo interforze della provincia di Potenza a maggio 2019. Parere in cui venivano evidenziati i «numerosi e rilevanti pregiudizi penali», la pendenza di un processo per mafia, e un «reato spia» come l’estorsione, e la «contiguità con un esponente di spicco della criminalità organizzata» come l’ex boss pentito Antonio Cossidente.

A settembre 2020 Postiglione è stato assolto dall’accusa di associazione mafiosa, mentre resta tuttora a processo per tentata estorsione. Nei mesi scorsi entrambi i supertestimoni dei pm, Barresi e Araneo sarebbero stati iscritti sul registro degli indagati. Ciononostante negli atti allegati all’ordinanza di misure cautelari eseguita il 7 ottobre si trova riscontro soltanto delle iscrizioni nei confronti del secondo.

L’inchiesta sulla “mala politica lucana” era stata affidata, inizialmente, alla procura ordinaria. In un secondo momento, tuttavia, è passata alla Direzione distrettuale antimafia in quanto in alcune conversazioni intercettato Piro si sarebbe vantato dei suoi contatti con potenti ‘ndrine calabresi ed esponenti della malavita locale. E non avrebbe avuto alcuna remora, stando alle indagini, a ostentare, «a scopo intimidatorio», le proprie conoscenze criminali dalle quali avrebbe tratto «non di rado proprie finalità personali, politiche ed elettorali».

Per le vicende al centro dell’ordinanza di misure cautelari, ad ogni buon conto, non risultano contestati né il reato di l’associazione mafiosa, né l’aggravante mafiosa in relazione agli altri reati ipotizzati.

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