Ignazio Petrone
3 minuti per la letturaPOTENZA – Prosciolti l’ex sindaco di Pignola, Ignazio Petrone, e altre 2 persone. Rinviati a giudizio in 26. Si è conclusa così, ieri mattina, l’udienza preliminare del processo nato dall’inchiesta “Iceberg” dell’Antimafia di Potenza, altrimenti soprannominata “mafia caffé”, sugli affari del clan pignolese dei Riviezzi. Estorsioni, droga ma, per un periodo, persino la gestione del bar caffetteria all’interno del Tribunale di Potenza.
Il gip Salvatore Pignata ha respinto la richiesta di rinvio a giudizio per Petrone, assistito dagli avvocati Donatello Cimadomo e Paolo Galante. Nei suoi confronti veniva contestata un’ipotesi di concorso esterno nel clan per le sue presunte pressioni sul capo dell’ufficio tecnico del Comune di Pignola, e sul comandante della polizia municipale, perché il lavori di spargimento sale e spalamento della neve previsti per l’inverno tra il 2009 e il 2010, fossero affidati a una cooperativa riconducibile al clan Riviezzi. Accuse che Petrone, due volte sindaco di Pignola, poi consigliere regionale del Pd per uno scampolo della IV legislatura (tra maggio e agosto del 2013), e presidente della Società energetica lucana, di proprietà della Regione, fino al 2018, aveva respinto con decisione non appena la notizia della sua iscrizione sul registro degli indagati. Una difesa perentoria, la sua, fondata sulla circostanza che in finale la cooperativa del cugino del presunto boss non aveva ottenuto alcun tipo di lavoro dal Comune. Neanche il semplice spazzamento della neve.
Escono fuori dal processo anche il potentino Vincenzo Barra, assistito dall’avvocato Gino Angelucci, e Vito Russo, assistito dall’avvocato Domenico Stigliani. Entrambi accusati di associazione mafiosa. Per un altro Russo invece, Gerardo, il gup ha disposto il proscioglimento dall’accusa di mafia, e al contempo il rinvio a giudizio per una residua accusa di tentata estorsione.
L’inchiesta condotta dagli agenti della Squadra mobile di Potenza e del Gico della Guardia di finanza ha raccolto una serie di elementi sull’esistenza di una vera e proprio associazione mafiosa di base a Pignola «con ramificazioni su tutto il territorio nazionale e con alleanze con analoghe strutture mafiose operanti in Basilicata, Campania e Calabria». Tra le attività del clan guidato da Saverio Riviezzi si citano estorsioni, furti, rapine, traffici di droga ma anche l’acquisizione del controllo «diretto ed indiretto (pure a mezzo di presta-nomi ed anche impiegando le risorse economiche ed i profitti derivanti da altre attività delittuose) di interi comparti economici ovvero di specifiche attività economiche». Inclusa la «gestione telematica di videogiochi con vincita in denaro».
Tra le vicende per cui sono state spiccate le misure cautelari, tuttavia, c’è anche la clamorosa rapina all’ufficio postale di via Messina, a Potenza, di giugno del 2018. Quando vennero portati via 250mila euro. Come pure il colpo fallito 9 mesi prima in un altro ufficio postale di Potenza, in via Grippo, dove i rapinatori ebbero l’accortezza di bucare una gomma dell’auto della vigilanza privata per evitare distrazioni. Ma anche un drammatico fatto di sangue come l’omicidio, a Melfi, di Giancarlo Tetta, nel 2008. Un delitto che rientra a pieno titolo nella faida tra clan del Vulture per cui il gruppo dei pignolesi avrebbe offerto supporto logistico agli alleati del clan Cassotta, fornendo l’auto per i killer. Proprio a causa della presenza di quest’ultimo capo d’imputazione il dibattimento si svolgerà davanti alla Corte d’assise di Potenza a partire dal 24 maggio. Per un ventisettesimo imputato, Kebir Mouchtari, il processo riprenderà a luglio col rito abbreviato.
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