Il procuratore di Potenza Francesco Curcio
6 minuti per la letturaPOTENZA – Mai avviate indagini su avvocati «per il solo fatto che avessero chiesto un rinvio di udienza per un impedimento a comparire allegando certificati di malattia o altro». Quanto piuttosto sulla scorta di «ulteriori e diverse circostanze di fatto», che al momento non possono essere rivelate, «per evidenti ragioni di riservatezza e di tutela sia degli indagati che delle indagini».
Ha replicato così, ieri, il procuratore capo di Potenza sul caso dell’avvocato Antonio Murano. Vale a dire la denuncia del legale rionerese contro gli inquirenti potentini, che la scorsa settimana lo avrebbero messo sotto inchiesta, a suo dire, solo per aver chiesto e ottenuto il rinvio di un processo, tutto sommato banale, a carico di un suo assistito, un carabiniere forestale accusato di peculato. Rinvio motivato da una sua indisposizione fisica dimostrata da un certificato del suo medico curante, sulla cui autenticità gli inquirenti parrebbero nutrire più di qualche dubbio.
Non per niente hanno iscritto sul registro degli indagati anche il medico in questione, in concorso col legale, per “false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria”: un reato punito con pene tra 2 e 6 anni di reclusione.
Curcio è intervenuto all’indomani dell’annuncio di un’interrogazione parlamentare al riguardo del senatore di Italia viva, Giuseppe Luigi Cucca, seguito dal deputato del Partito democratico Carmelo Miceli. Sempre nella giornata di martedì, però, si era fatta sentire anche la Camera penale distrettuale della Basilicata, stigmatizzando, tra l’altro, l’accesso dei carabinieri nello studio professionale dell’avvocato Murano, per provare ad acquisire i filmati delle telecamere di sorveglianza, «in assenza delle dovute comunicazioni anche al consiglio dell’Ordine di appartenenza». Mentre, a Roma, il Consiglio nazionale forense ha deciso di investire della vicenda il procuratore generale presso la Corte di Cassazione, competente per le azioni disciplinari nei confronti dei magistrati, contestando agli inquirenti potentini di aver «operato in spregio alla dignità, al decoro e al prestigio della classe forense».
Il procuratore, riferendosi alle cronache che diverse testate – anche nazionali – hanno dedicato alla vicenda, ha provato a sgombrare il campo dall’idea di una contrapposizione tra il suo ufficio e l’avvocatura potentina. «Gli avvocati impediti per ragioni di salute o per altri gravi motivi – ha dichiarato – hanno il sacrosanto diritto di ottenere un rinvio delle udienze». D’altro canto lo stesso Curcio ha voluto precisare che «in coerenza con tale principio, nel caso in questione, non si è proceduto ad indagini in ragione della mera allegazione del certificato medico da parte dell’avvocato Murano richiedente il rinvio». Bensì «sulla base sia del verbale riassuntivo di udienza del Tribunale, in cui si disponeva la trasmissione “con urgenza” a questo ufficio, di copia del predetto verbale e del certificato medico in questione che, soprattutto, sulla base di ulteriori e diverse circostanze di fatto concernenti la certificazione medica di cui si parla – non evidenziate dagli articoli di stampa in questione – che hanno reso doverosi gli accertamenti in corso».
«Naturalmente per l’avvocato Murano (come per qualsiasi altro cittadino indagato) vale la presunzione d’innocenza». Ha aggiunto il procuratore. «Gli accertamenti in corso (si ripete doverosi e non fondati sulla semplice certificazione medica prodotta da parte del legale) come qualsiasi indagine penale, non sono la “verità”, ma sono attività esclusivamente finalizzate a verificare se vi siano i presupposti per esercitare l’azione penale seguendo tutte le garanzie e le procedure previste dalla legge».
Curcio si è poi soffermato su altri aspetti della vicenda per come rappresentati nei giorni scorsi in base a quanto riferito dallo stesso Murano. Come l’accesso nella sua abitazione di un medico accompagnato dai carabinieri, per verificare le sue condizioni di salute, e poi nel suo studio legale. Oltre alla presunta perquisizione subita dal medico curante dell’avvocato, che – sempre a suo dire – sarebbe stato «trattenuto per circa tre ore in caserma», e poi si sarebbe visto sequestrare il telefonino. Stesso dispositivo in cui il medico aveva installato «le applicazioni relative all’identità digitale, necessarie, tra le altre cose, a firmare le guarigioni e a disporre la fine della quarantena dei suoi pazienti».
«Contrariamente a quanto si è potuto leggere su alcuni organi di stampa – ha dichiarato Curcio – questo ufficio non ha disposto (né è stata effettuata) alcuna perquisizione, alcun sequestro ovvero alcuna attività invasiva nei confronti dell’avvocato Murano, le cui prerogative di avvocato difensore previste dalla legge non sono state in alcun modo violate. Alcun documento o atto difensivo, alcuna conversazione di natura professionale o solo lontanamente tale è stata acquisita o captata».
«L’avvocato Murano, esperto penalista, piuttosto, mostrando disponibilità e lealtà, ha consentito a che gli organi delegati alle indagini potessero verificare le sue condizioni di salute». Ha aggiunto ancora il procuratore. «E tuttavia, va precisato, tali organi non avevano ricevuto alcun mandato da questo ufficio (né lo stesso è stato esercitato arbitrariamente) di procedere a visite coatte dell’indagato: ove l’avvocato avesse inteso non consentire allo svolgimento della verifica, se ne sarebbe semplicemente preso atto procedendosi a diversa ed ulteriore attività investigativa. Né, inoltre, corrisponde al vero, come pure si è avuto modo di leggere, che altro co-indagato nel medesimo procedimento sia stato “trattenuto” in caserma per tre ore. Quasi a volere sottolineare un eccesso di potere da parte degli inquirenti.
Semplicemente tale co-indagato, si è recato presso la caserma dei carabinieri, come qualsiasi cittadino cui vengono notificati degli atti giudiziari e nei cui confronti deve redigersi un verbale, per il tempo necessario per formare e firmare il verbale e riceverne copia, avendo piena libertà di entrare ed uscire dalla caserma, come infatti è successo in questo caso, e, comunque, ferma restando la piena facoltà dell’interessato di rifiutarsi di firmare e di ricevere la copia degli atti stessi e di tornarsene a casa propria immediatamente, come, peraltro, non di rado avviene».
«Invero – ha concluso Curcio – il principio di presunzione d’innocenza, di cui questo ufficio è convinto custode, non si può tradurre nella omissione di un doveroso accertamento dei fatti che deve essere svolto nel rispetto della legge, senza la pretesa dell’infallibilità, ma anche senza distinzioni riguardanti il ruolo sociale e professionale di chi a tali accertamenti deve essere sottoposto». Domani sulla vicenda è attesa anche la presa di posizione dell’avvocatura potentina tutta, dopo che il consiglio dell’Ordine ha convocato un’assemblea straordinaria ad hoc degli iscritti per «l’adozione dei provvedimenti conseguenziali».
Non è escluso, tuttavia, che i legali decidano di attendere la prossima settimana per valutare meglio il da farsi, dato l’incontro già fissato per lunedì tra il procuratore e i presidenti di Ordine degli avvocati di Potenza, Maurizio Napolitano, e Camera penale distrettuale, Sergio Lapenna, per un chiarimento di persona sull’accaduto.
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