Angelo Salinardi
4 minuti per la letturaPOTENZA – Chi non era schierato dalla loro parte veniva etichettato come: «truffatore, delinquente o corrotto», se di sesso maschile; «zozzosa o zoccola», se donna. Poi partiva «la persecuzione» con la costruzione di «prove false, accuse pretestuose, e meschine diffamazioni», che venivano pubblicizzate tramite comunicati stampa e giornalisti amici.
Funzionava così la «macchina del fango» al servizio dell’ex sindaco di Ruoti, Angelo Salinardi. Una macchina abbastanza costosa, stando agli accertamenti effettuati dagli agenti della squadra mobile di Potenza. Basti pensare che l’autore dei comunicati stampa in questione, l’ex consigliere regionale Luigi Scaglione, sarebbe stato “remunerato” da Salinardi con bonifici per 33mila euro soltanto nel 2019. Quasi un secondo stipendio, proprio quando è rientrato nel suo ufficio della Provincia di Potenza, dove è assunto come funzionario a tempo pieno e dirige l’ufficio stampa, dopo la scadenza del prestigioso incarico triennale, da oltre 120mila euro lordi all’anno, alla guida dell’ufficio Informazione, comunicazione ed eventi del Consiglio regionale.
Nell’ordinanza del gip Antonello Amodeo vengono ripercorse le numerose denunce presentate dalla principale vittima di Salinardi e dei suoi complici, l’attuale prima cittadina Anna Maria Scalise, e il di lei marito. Denunce riferite proprio ai comunicati stampa a firma dei consiglieri comunali di minoranza di Ruoti, che sarebbero stati redatti dall’ex consigliere regionale, e poi rilanciati da diverse testate locali. Testate tra le quali non compare – a ben vedere – il Quotidiano del Sud.
Nell’ordinanza di arresti domiciliari eseguita martedì nei confronti di Salinardi, Scaglione e altre 14 persone compaiono anche i nomi di altri giornalisti, non indagati, che sarebbero stati contattati dall’ex sindaco-imprenditore nel tentativo di coinvolgerli nel suo piano di delegittimazione di Scalise. Piano culminato con la diffusione di allusioni a una presunta relazione adulterina – inesistente – tra la sindaca e uno storico nemico di Salinardi, Franco Gentilesca, entrato nella giunta comunale in seguito alla rottura tra tra lo stesso Salinardi e la prima cittadina, che lui stesso aveva candidato e contribuito a fare eleggere.
A febbraio 2020, per esempio, sono stati registrati i preparativi della prima seduta del consiglio comunale successiva alla pubblica esposizione della presunta infedeltà coniugale della sindaca. Con la convocazione dei consiglieri di minoranza negli uffici di Salinardi, a Potenza, «al fine di predisporre – scrive il gip – ulteriori infamanti allusioni di natura sessuale ai danni della Scalise». Convocazione che sarebbe stata allargata anche al giornalista potentino Gianluigi Laguardia, ex componente del Comitato regionale per le comunicazioni, oltre al solito Scaglione, a lungo referente regionale di Centro democratico e tuttora presidente Centro Studi Internazionali lucani nel mondo. Sebbene non compaiano riscontri all’effettiva presenza di entrambi.
Due mesi più tardi, invece, l’ex sindaco è stato intercettato mentre si rivolgeva all’ex direttore dell’ufficio stampa della Regione, e attuale direttore editoriale della Nuova del Sud, Donato Pace, «al fine di far pubblicare degli articoli di stampa contro la Scalise». Quindi gli riferisce del presunto coinvolgimento dell’odiato Gentilesca in falsi incidenti automobilisti e truffe alle assicurazioni e della supposta relazione clandestina tra l’assessore e la sindaca. Al ché Pace, secondo la ricostruzione del gip avrebbe chiesto a Salinardi «di trovare uno scandalo in maniera tale che sarà costretta a dimettersi».
«Ma vediamo di trovare qualche scandalo e la facciamo dimettere!». Queste le parole attribuite al giornalista, che poi avrebbe sollecitato l’ex primo cittadino a fornirgli «due o tre fattarelli di questi», su cui stavano articolando una serie di denunce alla sindaca, giudicate calunniose dagli inquirenti. Quello dei giornalisti che si muovevano nella cerchia ristretta di Salinardi, ad ogni modo, non sarebbe stato un semplice lavoro da addetti stampa. Ma piuttosto da «consiglieri» in senso ampio, e spiccia faccende varie. Basti pensare alla caccia alle microspie piazzate dagli investigatori nell’auto e negli uffici dell’ex sindaco affidata da Scaglione a un dipendente dell’ufficio Informazione, comunicazione ed eventi del Consiglio regionale, che lui stesso aveva guidato tra il 2016 e il 2019, Giuseppe Antonio Lavano.
O a quando, in occasione del voto in consiglio sul bilancio del Comune, lo stesso Scaglione avrebbe suggerito a Salinardi «di far passare qualche consigliere dalla maggioranza alla minoranza promettendo loro posti di lavori ai figli». Per dare una spallata definitiva a Scalise costringendola alla resa. O ancora ai contatti negli uffici giudiziari attivati dall’ex consigliere regionale per provare a capire il perimetro dell’inchiesta condotta dagli agenti della Squadra mobile.
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