La conferenza stampa dell'operazione Mafia Caffè 2
4 minuti per la letturaPOTENZA – Quindici persone arrestate: 8 in carcere e 7 agli arresti domiciliari. Di cui una residente ad Altamura, e altre due in provincia di Salerno.
È questo il bilancio dell’operazione messa a segno ieri mattina dalla Direzione distrettuale antimafia di Potenza nei confronti del clan dei Riviezzi, di base alle porte del capoluogo lucano nel piccolo comune di Pignola, e delle sue «proiezioni operative» nel resto della regione, oltre che in Puglia e Campania.
L’inchiesta, condotta dalla sezione anticrimine della Squadra mobile di Potenza, è il seguito di quella, già ribattezzata Mafia caffé, che ad aprile dell’anno scorso aveva portato a 17 misure cautelari e al sequestro preventivo di una società che gestiva il bar all’interno del Palazzo di giustizia di Potenza.
Questa volta, nel mirino degli investigatori è finito un altro «settore elettivo di primario interesse operativo» del presunto clan, ovvero «il recupero crediti con modalità estorsive». Con cinque diversi episodi riscontrati di cui sarebbero stati vittime imprenditori e commercianti. Il tutto, stando a quanto specificato in un comunicato diffuso dalla Dda di Potenza, attraverso intimidazioni: «di stampo tipicamente mafioso», ed «evocazioni anche esplicite al clan Riviezzi».
In 2 di questi 5 episodi gli inquirenti hanno registrato anche la cooperazione con esponenti di altre note organizzazioni criminali quali Massimo Aldo Cassotta, considerato il boss dell’omonimo clan di Melfi, e a Felice Balsamo, del Vallo di Diano, in Campania, «più volte processato per gravi delitti» e considerato vicino al clan Maiale di Eboli.
Oltre che per Cassotta (già detenuto per altro) e Balsamo, quindi, le ordinanze di custodia cautelare in carcere sono state eseguite nei confronti di Vito Riviezzi, figlio del presunto boss, Saverio, del cugino di quest’ultimo, Francesco Michele Riviezzi, e Maurizio Pesce. Tutti di Pignola. Più il titese Domenico Lamaina, e il vietrese Francesco Faraone.
Ai domiciliari, invece, sono finiti i potentini Rocco Nolè, Pompilio Fusco e Marco Triumbari, gestore di un altro bar poco lontano dal Tribunale di Potenza. Lo stesso Triumbari che a fine novembre è stato già arrestato per estorsione aggravata dal metodo mafioso nell’ambito dell’inchiesta sugli affari dell’altro storico clan del potentino, quello guidato da Renato Martorano e Stefanutti. Poi ancora: Pierangelo Piegari, di San Gregorio Magno, l’altamurano Nicola Romano, e i titesi Adrian Pasoiu e Giovambattista Moscarelli.
Particolare la posizione di quest’ultimo, imprenditore attivo a livello internazionale nella compravendita di carni, che sarebbe stato vittima di un’estorsione, ma è accusato di false dichiarazioni «rese al pm al fine di sviare le indagini e di non infrangere i dettami omertosi della criminalità a cui lo stesso – secondo la Dda potentino – risulterebbe vicino».
Ieri mattina i dettagli dell’inchiesta sono stati illustrati in una conferenza stampa dal procuratore distrettuale di Potenza, Francesco Curcio.
Il capo dei pm potentini ha spiegato che alla base di questo secondo filone d’indagine dell’inchiesta “mafia caffé” vi sarebbero state, in particolare, le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia calabrese trasferitosi a Potenza da qualche tempo, Lorenzo Bruzzese. Proprio quel Bruzzese per cui l’Antimafia lucana si era scontrata nei mesi scorsi col Ministero dell’interno, che avrebbe voluto negargli l’accesso al programma di protezione, essendone da poco uscito dopo la dissociazione dagli ambienti ‘ndranghetistici frequentati nel suo paese di origine, in provincia di Reggio Calabria.
Curcio ha parlato apertamente di un «clima omertoso sul territorio», facendo riferimento all’assenza di denunce da parte delle vittime delle estorsioni. Poi ha sottolineato il fatto che talvolta il «recupero crediti» avveniva senza neanche la necessità di minacciare concretamente gli obiettivi di azioni delittuose tipiche dei clan mafiosi, come gli incendi. Perché bastava evocare l’appartenenza al gruppo dei pignolesi.
Il magistrato si è poi soffermato sul fenomeno del recupero crediti appaltato ad esponenti dei clan, definendolo «ancora più allarmante», perché dimostrerebbe: «oltre alla capacità del mafioso di imporsi e di indurre il debitore a pagare, laddove la legge non ha portato ad alcunché».
«Ciò dimostra – ha aggiunto il procuratore distrettuale – che il mafioso riesce a porsi come un’autorità sul territorio, e che gli viene riconosciuta dall’imprenditore di turno un’efficienza nella riscossione dei crediti che rendono preferibile rivolgersi a lui a causa dele lungaggini dei processi civili».
Curcio ha colto l’occasione della conferenza stampa di ieri anche per rinnovare i ringraziamenti al Ministero dell’interno per la recente istituzione della sezione lucana della Direzione investigativa antimafia. Ma si è soffermato a lungo anche sui meriti della sezione anticrimine della Squadra mobile di Potenza, evidenziandone il ruolo di «memoria storica» oltre che di punto di riferimento per il contrasto ai clan in regione.
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