Marcello Pittella
6 minuti per la letturaPOTENZA – L’ex governatore Marcello Pittella aveva «senz’altro “segnalato” alcuni candidati» in uno di quei concorsi gestiti dall’Azienda sanitaria di Matera, in cui le graduatorie sarebbero state ritoccate. Per effetto di un meccanismo perverso che prevedeva la «totale obliterazione del principio meritocratico e l’esaltazione di logiche clientelari e biasimevoli, imperniate sul “criterio” del “più raccomandato”».
Ma «non vi è alcuna prova che il presidente della Regione avesse contezza che l’obiettivo di “aiutare” alcuni candidati fosse perseguito dai tre coimputati attraverso la modifica dei punteggi già attribuiti ai soggetti “segnalati”».
C’è questo alla base dell’assoluzione incassata dall’ex governatore lucano Marcello Pittella (Pd), lo scorso 22 dicembre, dalle accuse mossegli nell’ambito del processo sui concorsi truccati nella sanità. Stesse accuse per cui a luglio del 2018 finì agli arresti domiciliari per due mesi e rimase sospeso dall’incarico fino a gennaio 2019, quando si dimise e poi rinunciò alla ricandidatura come governatore. Un passo indietro, il suo, che aprì la strada, di fatto, alla vittoria di Vito Bardi e la prima sconfitta del centrosinistra lucano alle elezioni regionali.
E’ quanto si legge nelle motivazioni di quella sentenza, che ha visto cadere le contestazioni nei confronti di Pittella e altri 11 imputati, e la condanna a pene variabili da 1 anno a 5 anni di reclusione, di sette persone per i falsi commessi per alterare l’esito dei concorsi in questione. In particolare: l’ex direttrice amministrativa dell’Asm (Azienda sanitaria di Matera), Maria Benedetto (5 anni di reclusione), l’ex commissario e direttore generale dell’Asm e attuale commissario dell’istituenda azienda sanitaria della prevenzione della Regione Puglia, Pietro Quinto (due anni e sei mesi di reclusione), l’ex commissario dell’Asp (Azienda sanitaria di Potenza), Giovanni Berardino Chiarelli (2 anni e 6 mesi di reclusione); e l’attuale capo dipartimento amministrativo del Crob di Rionero in Vulture, Giovanni Amendola (due anni e sei mesi di reclusione).
Martedì il collegio presieduto da Gaetano Catalani, e completato dai giudici Valerio Giovanni Antonio Sasso e Danilo Staffieri, ha depositato le motivazioni del verdetto pronunciato in aula poco prima di Natale con 3 giorni di anticipo rispetto ai 15 annunciati. Il termine di un mese per proporre ricorso in Appello, quindi, non dovrebbe iniziare a decorrere prima di domani. Mentre per il 7 febbraio dovrebbe sapersi se ai difensori dei 7 condannati si aggiungeranno i pm di Matera, a cui spetta decidere se impugnare le assoluzioni come quella dell’ex governatore.
Dei due capi d’imputazione a carico di quest’ultimo, i giudici materani hanno approfondito soprattutto il secondo: quello per cui avrebbe istigato, assieme all’ex commissario dell’Asm, Piero Quinto, la direttrice amministrativa, e una funzionaria della stessa azienda, a falsificare i punteggi ottenuti nella prova scritta di una selezione, riservata ai disabili, per l’assunzione di 8 assistenti amministrativi. Sempre a favore di un gruppetto di raccomandati.
Rispetto alle accuse sul concorso per un posto da dirigente amministrativo all’Asm, invece, i magistrati evidenziano, in maniera oltremodo concisa, che «il ruolo del “presidente” appare piuttosto limitato (…) a quello di possibile “segnalatore”, ma non certo di soggetto da cui promanano le direttive atte e determinare l’esito della procedura concorsuale».
Indagando sulla selezione per gli assistenti amministrativi, infatti, i militari della Guardia di finanza non avevano registrato soltanto una serie di riferimenti a «Pittella» e un elenco di nomi evidenziati in verde, la famosa «lista verde», che sarebbero stati i “suoi” raccomandati. Tutti discorsi intercettati dalle microspie piazzate negli uffici dell’Asm dove le graduatorie della selezione sono state rimaneggiate più e più volte fino a ottenere il risultato voluto.
A maggio del 2017, per esempio, avevano seguito Benedetto, che nei giorni precedenti era stata impegnata nella valutazione delle prove scritte della selezione, fino al cancello d’ingresso della villa di Pittella a Lauria. Quindi, all’indomani, avevano captato la direttrice amministrativa parlare al telefono di «correttivi», con Quinto, mentre gli riferiva l’esito dell’incontro col governatore. E nei giorni successivi avevano filmato la stessa Benedetto, nel suo ufficio, «mentre si affanna, (…) a “ritoccare” i punteggi assegnati a qualche soggetto segnalato».
Troppo poco, ad ogni modo, per i giudici materani. Sia perché quello che si erano detti a Lauria Benedetto e il governatore non è stato «captato». Sia perché il riferimento «correttivi» di cui parlavano la stessa Benedetto e Quinto non sarebbe stato «univocamente riferibile ai “ritocchi” apportati» ai punteggi della prova concorsuale per tree ordini di motivi. Innanzitutto perché alcuni “ritocchi” sarebbero stati effettuati anche «prima dell’incontro in quel di Lauria». Poi «perché la Benedetto non aveva pacificamente portato seco (lo si evince dalle captazioni) gli atti della procedura (ma solo i suoi appunti manoscritti per rappresentare al presidente, su richiesta del Quinto, quale fosse “lo stato dell’arte” in merito ai punteggi assegnati a ciascun candidato». Infine perché «il soggetto che aveva imposto alla Benedetto di operare quei ritocchi era il Quinto (per le evidenziate ragioni di captatio benevolentiae tese ad esclusivo beneficio per la sua carriera)».
«In conclusione- scrivono i giudici -, se è vero che il termine “correzione” utilizzato nella conversazione intercettata tra la Benedetto ed il Quinto potrebbe lasciar intendere la consapevolezza di una modifica di dati preesistenti riferibili alla graduatoria del concorso in argomento (ciò che che deve evidentemente aver indotto i pm all’esercizio dell’azione penale nei confronti del Pittella), è anche vero, tuttavia, che, per quanto detto, ciò non è sufficiente, sotto il profilo della univocità dell’indizio, al fine di far ritenere una correità del suddetto imputato nell’imputazione di falso ideologico».
«E’ ben possibile, infatti -scrive l’estensore della sentenza, Staffieri -, che il Pittella abbia in quella sede reiterato una raccomandazione, senza per ciò stesso essersi prospettato la necessità di una falsificazione di un verbale concorsuale già redatto e che tale “sollecitazione” possa aver indotto la Benedetto ad operare autonomamente e sulla base delle pressioni del Quinto il mutamento dei contenuto sostanziale di un atto pubblico che ella sapeva già essere stato perfezionato».
«Tali considerazioni sull’insufficienza del materiale indiziario acquisito – insistono i giudici – assimilano la posizione del Pittella a quella di altri “segnalatori” per i quali la Procura ha ritenuto di non esercitare l’azione penale proprio in ragione della mancanza di prove, anche indiziarie, “sulla compartecipazione nella fase esecutiva ma anche ideativa” del reato».
Una circostanza, quella delle “segnalazioni”, che nella sentenza viene definita «biasimevole», ma insufficiente «ad conferire rilevanza penale alla condotta, essendo noto al riguardo che la giurisprudenza di legittimità escluda rilievo penale (…) alla mera “raccomandazione” (…) poiché essa, di per sé sola, non ha alcuna efficacia causale sul comportamento del soggetto attivo destinatario della “segnalazione”, il quale rimane libero di aderire o meno».
Tra gli altri “raccomandanti” individuati dagli investigatori, ma mai iscritti sul registro degli indagati per mancanza di riscontri sull’istigazione alla falsificazione di graduatorie e quant’altro, in sentenza vengono citati l’ex vice-ministro Filippo Bubbico, l’ex direttore sanitario Asm, Domenico Adduci, e «vescovi non meglio identificati».
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