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Il Tribunale di Potenza

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POTENZA – E’ rimasto in silenzio il boss Renato Martorano, ieri mattina durante il collegamento in videoconferenza dal carcere di Lecce per l’interrogatorio di garanzia davanti al gip di Potenza, Lucio Setola.

Con la comparsa di Martorano, assistito dagli avvocati Leo Chiriaco ed Enzo Falotico, è terminata la sfilata dei destinatari dell’ordinanza di misure cautelari eseguita il 29 novembre nei confronti di 38 persone tra affiliati e fiancheggiatori dello storico clan potentino. Molti di loro, però, potrebbero tornare in aula, martedì prossimo, per le udienze già fissate dal Tribunale del riesame per la discussione dei ricorsi per l’annullamento delle ordinanze in questioni. In quella sede potrebbe tornare all’ordine del giorno anche la questione sollevata ieri mattina – senza successo – dai legali del presunto boss sulla violazione dei termini di legge per lo svolgimento degli interrogatori di garanzia. Violazione che potrebbe far decadere l’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Martorano e degli altri arrestati che non sono potuti comparire in aula nei tempi previsti a causa per problemi logistici legati all’emergenza sanitaria.

Al centro dei ricorsi già depositati al Tribunale della libertà, ad ogni modo, restano le accuse sull’esistenza di una vera e propria associazione mafiosa attorno a Martorano e ai suoi amici. Un teorema cristallizzato a metà degli anni ‘90 da una prima sentenza sul clan potentino, ma smentito più di recente dall’epilogo della maxi-inchiesta Iena 2, per cui nel 2004 finì agli arresti una cinquantina di persone, ma a febbraio del 2019 sono arrivate, in primo grado, soltanto due condanne per estorsione aggravata dal metodo mafioso: una per Martorano, e un’altra per l’inseparabile Dorino Stefanutti. Nel 2004, infatti, fu proprio il Riesame a evidenziare una serie di lacune nelle contestazioni rimettendo in libertà il grosso degli arresti. Per questo, a distanza di 15 anni, le udienze fissate per martedì e giovedì prossimo vengono considerate un test fondamentale. Tanto più che per accuse di questo tipo i termini di durata della carcerazione preventiva, se le misure cautelari reggessero anche al successivo vaglio della Cassazione, possono arrivare fino a 6 anni.  

Intanto, ieri pomeriggio, il gip ha depositato anche una nuova ordinanza in relazione alle richieste di revoca delle misure cautelari avanzate dai difensori di 16 degli arrestati. Richieste respinte per tutti tranne che per l’imprenditore potentino Potito Capezzera, titolare di una rivendita di auto, che è indagato per «assistenza agli associati» per aver messo a disposizione di Stefanutti «una serie di automobili di media e grossa cilindrata» per consentirgli di muoversi e «sottrarsi alle attività di osservazione, pedinamento intercettazione ambientale e in generale d’indagine». Per lui il gip ha disposto la sostituzione degli arresti domiciliari con l’obbligo di dimora a Potenza, dopo le accuse rivolte al suo socio, Domenico Carlucci, per i rapporti con Stefanutti. «Capezzera  – scrive il gip – ha fornito specifici elementi a carico di Carlucci, confermando che questi scientemente e volutamente si era messo al servizio di Stefanutti, perpetrando in tale posizione anche dopo le contestazioni dello stesso Capezzera».

«Le sue dichiarazioni – ha aggiunto ancora il giudice – appaiono altresì indicative del clima di paura e di (conseguente) omertà che si era oramai creato all’intorno a Stefanutti, tanto da temere che la sola presenza di quest’ultimo presso i locali delle sue ditte potesse determinare l’allontanamento della clientela, e tanto da spingerlo ad una semplice “contestazione” verbale verso Carlucci».  

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