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POTENZA – La Corte dei conti della Basilicata ha respinto il ricorso della sindaca di Rapone, Felicetta Lorenzo, contro la condanna al pagamento di 5mila euro emessa nei suoi confronti per violazione delle norme sulle società a partecipazione pubblica.
Alla prima cittadina è stato contestato, in particolare, di non aver trasmesso alla sezione di controllo della stessa Corte dei conti, incaricata di valutare i bilanci delle amministrazioni locali, il prospetto obbligatorio con la ricognizione di eventuali partecipazioni societarie del Comune. «Un consapevole, altresì grave, comportamento omissivo», secondo i magistrati contabili. Di qui la sanzione, che per legge va da un minimo edittale di 5mila euro fino a un massimo di 500mila euro.
Lorenzo si era difesa parlando di un mero ritardo nella trasmissione del prospetto in questione, e aveva puntato il dito contro la responsabile del settore finanziario del Comune, benché già assolta nel primo giudizio. Quindi aveva chiesto una riduzione della sanzione, «per il caso di pagamento immediato della stessa».
Di diverso avviso, però, il collegio presieduto da Vincenzo Pergola, e completato da Giuseppe Tagliamonte e Federico Pepe, per cui «la mancata trasmissione equivale, di fatto, alla mancata predisposizione della ricognizione» sulle partecipazioni sanitarie prevista. Quindi: «l’inadempimento di ogni singolo obbligo (adozione e trasmissione dell’atto), o addirittura di entrambi, ravvisabile nella sequenza procedimentale in esame costituisce presupposto essenziale di comminatoria della specifica sanzione». Mentre il ricorso «esprime e ripropone, senza adeguata critica delle relative motivazioni, eccezioni o argomenti già ampiamente disattesi dal giudice monocratico, e rinvia, in sostanza, ai fragili argomenti del primigenio atto defensionale».
«Analoghe considerazioni – proseguono i magistrati – devono essere estese alla (oramai acclarata) individuazione del responsabile (il sindaco) e alla sussistenza, in capo allo stesso, dell’elemento soggettivo particolarmente qualificato. Invero, dall’esame complessivo, coordinato e congiunto degli atti e dei documenti di causa, si rileva che il sindaco, a fronte di due esplicite, dirette ed inequivocabili richieste dell’organo di controllo, ometteva il dovuto riscontro, comportamento gravemente colposo e ben descritto dal giudice monocratico, come: “una circostanziata culpa in vigilando, consistente nella mancata adozione di ogni attività di supporto e sollecitazione all’adempimento richiesto dalla legge”»
«Tanto – conclude la Corte dei conti – rende altresì irrilevante la invocata distinzione tra funzioni di indirizzo e controllo politico – amministrativo e compiti di gestione».
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