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POTENZA – Nessun collegamento tra le sue attività imprenditoriali e quelle trasferite ai familiari «in tempi non sospetti», e le presunte corruttele per cui i pm lo hanno iscritto sul registro degli indagati.


E’ quanto sostiene l’ex sindaco di Ruoti, Angelo Salinardi, replicando all’articolo pubblicato sabato 14 agosto a pagina 7 del Quotidiano del Sud – Edizione Basilicata, dal titolo “Pm sulle tracce dei soldi sporchi”.
Il nome di Salinardi, come rivelato nei giorni scorsi proprio dal Quotidiano del Sud, risulta tra gli indagati della maxi inchiesta della procura di Potenza sulla mala politica lucana. Nei suoi confronti i pm del capoluogo ipotizzano, in particolare, un’ipotesi di «sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte», in concorso anche con alcuni parenti, più un’ipotesi di trasferimento fraudolento di beni, e almeno tre distinti episodi di corruzione.


L’ex sindaco di Ruoti, tuttavia, parla di un titolo «pregiudizievole» pubblicato dal Quotidiano, e di un collegamento «improvvido» tra le attività imprenditoriali e l’approvvigionamento «di fondi da utilizzare per attività corruttive».


«Si tratta di attività privatistiche e che non hanno alcun collegamento con attività pubbliche», evidenzia Salinardi. Quindi contesta il collegamento giornalistico col «pubblico ufficiale amico» che avrebbe beneficiato delle corruttele in questione, parlando di un’ «ipotesi accusatoria di cui né io ne i miei avvocati abbiamo prove dirette di tale addebito».


«Fantasiose ricostruzioni delle quali siamo pronti a rispondere ove mai si raggiungesse una conclusione di indagini che ci permetta di conoscere nel dettaglio le accuse e di poterle contestare punto per punto». Così ancora l’ex sindaco liquidando la questione. «Da tutto ciò ne discende che proprio la mia attività di natura privatistica non poteva in alcun modo essere collegata a procedure di cui si sarebbero dovuti occupare “pubblici ufficiali”. Infine, sulla ardimentosa ricostruzione relativa al mancato pagamento di imposte, le mie società a tutt’oggi sono perfettamente in regola con i versamenti dovuti con l’erario altrimenti non avrebbero potuto esercitare in alcun modo l’attività che consente di assicurare un onesto lavoro a oltre 400 dipendenti».
Salinardi replica anche all’attuale sindaca di Ruoti, Anna Maria Scalise, che aveva pubblicamente preso le distanze dalle vicende al centro dell’inchiesta dei pm di Potenza. Scalise, infatti, aveva sostenuto di essere indagata per un banale abuso d’ufficio, come atto dovuto degli inquirenti in seguito a una denuncia del suo predecessore che lei stessa aveva espulso dall’aula del consiglio comunale dopo alcune intemperanze verbali.
Null’altro che «suggestioni», secondo l’ex primo cittadino che aveva scelto Scalise per succedergli in Comune, ma dopo pochi mesi è diventato il suo più veemente oppositore.


«Suggestioni», quelle della sindaca, che a detta di Salinardi «appaiono sempre più come il tentativo di deviare l’attenzione dalle accuse (che non sono solo quelle da lei rappresentate) e di cui risponderà a tempo debito».
La maxi inchiesta dei pm di Potenza sulla mala politica lucana, svelata nei giorni scorsi dal Quotidiano del Sud, risulta avviata nel 2019 e raccoglie tutti gli spunti investigativi emersi durante gli accertamenti sul conto del presunto sistema di potere che sarebbe ruotato attorno allo studio del noto avvocato potentino, Raffaele De Bonis. Spunti a cui si sarebbe aggiunta una serie di elementi acquisiti successivamente sui nuovi potenti insediatisi in Regione Basilicata dopo la vittoria del centrodestra alle elezioni del 2019. Incluse le denunce dell’ex direttore generale del San Carlo, Massimo Barresi.
Il risultato sono una cinquantina di indagati a vario titolo, tra i quali i due assessori regionali di Forza Italia, Rocco Leone e Franco Cupparo, il capogruppo azzurro nel parlamentino lucano, Francesco Piro, il segretario del governatore Vito Bardi, Mario Araneo, e diversi imprenditori lucani di primo piano. Ma anche la sindaca di Lagonegro, e i suoi omologhi di Maratea, Ruoti e San Severino Lucano: Daniele Stoppelli, Anna Scalise e Franco Fiore. Più l’ex governatore Marcello Pittella e il senatore Salvatore Margiotta (Pd).
In totale sono una cinquantina anche i capi d’imputazione provvisoria formulati dagli inquirenti, per accuse che vanno dall’ abuso d’ufficio alla turbativa d’asta, passando per la corruzione e persino lo scambio elettorale politico-mafioso. Ipotesi tutte da dimostrare, s’indende, su cui a stretto giro i magistrati saranno chiamati a decidere per l’archiviazione o il processo, anche valutando l’eventuale adozione di misure cautelari proporzionali alla gravità dei reati contestati.

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Antonella Giacummo

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