Il Cova, Centro Olio val d'Agri dell'Eni a Viggiano (PZ)
3 minuti per la letturaPer un presunto vizio nel testo della nuova legge sui reati ambientali, la Cassazione annulla gli arresti degli ex capi del Centro olio di Viggiano dalle accuse sugli sversamenti
POTENZA – Niente arresti e processo a rischio per gli ex capi dell’Eni di Viggiano, indagati per aver nascosto per anni la perdita di greggio scoperta, per puro caso, a gennaio del 2017, poco prima che contaminasse anche il bacino di acqua potabile del Pertusillo.
E’ questo il verdetto notificato ieri mattina dalla Corte di cassazione sui ricorsi presentati dai difensori di Ruggero Gheller, ex responsabile del Distretto meridionale dell’Eni di Viggiano, e dell’ex “operation manager” di stanza in Basilicata, Andrea Palma, contro l’ordinanza con cui a maggio il Tribunale del riesame di Potenza, presieduto da Aldo Gubitosi, ne aveva disposto gli arresti domiciliari (sospesi proprio in attesa della pronuncia della Corte).
I giudici di via Arenula hanno accolto la richiesta di annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata che era stata avanzata, aderendo alla tesi delle difese, anche dal procuratore generale Pasquale Fignani. Una richiesta fondata su un mero ragionamento giuridico che sa di beffa, e non solo per le presunte vittime del disastro provocato dalla fuoriuscita di almeno 400 tonnellate di greggio dai serbatoi dell’Eni di Viggiano. O per la memoria di Gianluca Griffa, il 38enne ex responsabile della produzione del Centro olio, che nel 2013 si suicidò lasciando dietro di sé una lettera-testamento in cui spiegava di essere stato punito per aver osato sollevare, anche con Gheller e Palma, una serie di problemi sulla gestione dello stabilimento lucano, a partire dalla corrosione dei serbatoi.
Da aprile, infatti, resta ai domiciliari Enrico Trovato, che è succeduto ai due alla guida del Centro olio di Viggiano, nel 2014, quando – a detta persino degli inquirenti – il peggio era stato già compiuto. Ma l’anno dopo, quando in Parlamento è passata la riforma che ha aggravato le pene per i reati ambientali, i suoi promotori (perlopù esponenti di Pd e M5s) erano stati espliciti nell’escludere che vi fosse l’intenzione di creare un’area di impunità condonando i fatti compiuti in precedenza. Basta leggere i resoconti delle sedute di commissione dell’epoca.
Proprio sul dettato infelice della nuova norma, però, si sarebbe incuneata la difesa dei manager Eni, assistiti dagli avvocati Giuseppe Fornari (Gheller), Guido Alleva e Mario Brusa (Palma), che hanno raccolto e rilanciato i dubbi sorti in prima istanza al gip Ida Iura, quando ha detto sì alla richiesta di arresti per Trovato ma ha respinto quella nei confronti degli altri due indagati.
Un paradosso, insomma, che fa strame della chiara volontà di chi ha votato per condanne più pesanti per i responsabili di disastri ambientale. Il tutto sulla scorta di un’interpretazione da parte della Cassazione delle norme sulla successione delle leggi penali nel tempo, pensate per proteggere il cittadino da eventuali arbitri del legislatore. Sicché dal momento che non è possibile contestare a Gheller (in carica tra il 2011 e il 2014) e a Palma (in carica tra il 2011 e il 2013) il reato di disastro ambientale introdotto nel 2015, non li si potrebbe accusare, come fa la procura di Potenza sulla scorta di una precedente pronuncia della stessa Cassazione, nemmeno del vecchio disastro semplice (innominato in gergo tecnico, ndr), punito in maniera più blanda.
Se sarà questo il ragionamento confermato nelle motivazioni del verdetto appena pronunciato, quindi, rischia di essere compromesso anche un eventuale processo a carico dei due manager. A meno che il pm titolare del fascicolo, Laura Triassi, non decida di procedere comunque “sfidando” la Corte, in attesa di un suo possibile ulteriore ripensamento/chiarimento sul tema.
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