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Alcuni dei reperti sequestrati ieri mattina

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POTENZA – Aveva anche una propaggine lucana la banda di tombaroli presa di mira, ieri mattina, dal blitz dei carabinieri del Comando tutela  patrimonio culturale, per ordine del gip di Crotone (LA NOTIZIA, TUTTE LE PERSONE COINVOLTE E I VIDEO QUI).
Tra i 23 destinatari dell’ordinanza di arresti, infatti, c’è anche il 56enne Antonio Camardo, di Marconia di Pisticci. Ma in contemporanea all’esecuzione delle misure sono scattate anche le perquisizioni a carico di altri due indagati lucani, entrambi di Tricarico: Vincenzo Paradiso (68), professore d’arte in pensione dell’istituto comprensivo Pascoli di Matera, e Pasquale Dabraio (58), ex collaboratore scolastico. Mentre altri tre lucani risultano indagati a piede libero: Riccardo Daniele Avena (65) di Montescaglioso, Giuseppe Noia (62) di Lagonegro, e Mario Aiardo (48) di Pisticci (in tutto gli indagati sono un centinaio).
Per la procura di Crotone, che ha coordinato le indagini, Camardo e Paradiso avrebbero avuto un ruolo attivo all’interno della «criminalità archeologica calabrese», guidata dai crotonesi Giorgio Pucci e Alessandro Giovinazzi (entrambi in carcere da ieri mattina). Una vera e propria associazione a delinquere, secondo gli inquirenti, finalizzata  al danneggiamento del patrimonio archeologico dello Stato, l’impossessamento illecito di beni culturali, la ricettazione ed  l’esportazione illecita degli stessi.
Il primo, in particolare, titolare di un’impresa agricola specializzata nell’allevamento di ovini, sarebbe stato tra i «coordinatori» delle attività della banda «grazie alle competenze in campo archeologico – acquisite nel corso del tempo grazie alle costanti ricerche clandestine poste in essere -occupandosi di individuare i luoghi da saccheggiare». Non a caso gli viene contestata la recidiva per i precedenti specifici in materia.
Mentre il «professore» Paradiso, spesso evocato nelle intercettazioni col suo titolo professionale, sarebbe stato tra i più quotati «restauratori» a disposizione del gruppo, per preparare i reperti rinvenuti negli scavi clandestini al loro piazzamento sul mercato, nazionale ed estero, per «valorizzarne l’aspetto estetico ed incrementarne il valore economico d’acquisto».
Per quest’ultimo, tuttavia, il gip Romina Rizzo, ha escluso l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza necessari all’emissione di una misura cautelare in relazione all’accusa di associazione a delinquere. «Pur essendo emersi (…) – spiega il giudice – elementi indiziari in grado di fondare l’ipotesi accusatoria riguardo ai singoli reati fine (ricettazione e impossessamento illecito di beni culturali, ndr)».  Di qui il no alla richiesta di un’ulteriore misura cautelare nei suoi confronti, che era stata avanzata dal pm Ines Bellesi, per insussistenza «del rischio di recidivanza», poiché dal tenore delle conversazioni intercettate dai carabinieri emergerebbe «la occasionalità del contatto con gli altri sodali».
In realtà dalle perquisizioni effettuate ieri mattina dai carabinieri di Tricarico, in coordinamento col Comando tutela patrimonio culturale di Bari, sarebbero venuti alla luce diversi reperti archeologici posseduti illegalmente sia da Paradiso che da Dabraio. E anche a casa di uno dei capi della rete sono stati recuperati, tra l’altro, cinque vasi e lucerne in terracotta, piatti con scene di animali, fibule e monili vari. Materiale il cui valore, sommato a quello di mezzi meccanici e attrezzature tecniche sequestrate, ammonterebbe a diversi milioni di euro.
Non è escluso, quindi, che l’inchiesta, soprannominata “Achei”, possa avere ulteriori sviluppi nei prossimi mesi.
Stando a quanto ricostruito dagli investigatori l’organizzazione guidata da Pucci e Giovinazzi sarebbe stata in grado di gestire tutte le  fasi del traffico illecito. In particolare,  attraverso un gruppo di tombaroli in senso stretto, riusciva ad  approvvigionarsi di monete, vasi, statuette, elmi, specchi e quant’altro, risalenti dal  IV al III secolo avanti Cristo, razziando importanti siti come «Apollo Aleo» a Cirò Marina o «Castiglione»  a Paludi e Metaponto.
A maggio del 2018, per esempio, Camardo è stato fermato dai militari della stazione carabinieri di Marconia di Pisticci con il pezzo di una colonna che un funzionario della Soprintendenza della Basilicata identificava come «di probabile provenienza» proprio dall’antica città greca di Metaponto, più due costosi metal detector utilizzati per individuare le sepolture.
Poi la merce veniva destinato alla commercializzazione in Italia e all’estero, grazie a una fitta e complessa rete di ricettatori.
Le  indagini hanno consentito di documentare tutti i passaggi con  intercettazioni, riprese video (anche tramite l’utilizzo di un  drone che ha ripreso i tombaroli all’opera), pedinamenti e  sequestri fino alla vendita finale a collezionisti.
Il gruppo  criminale non si sarebbe fatto scrupolo di utilizzare, per gli scavi clandestini, persino un escavatore e, nella circostanza, solo l’intervento dei carabinieri ha impedito che venisse attuato uno scempio.
Nelle conversazioni telefoniche intercettate dai militari è stato documentato l’utilizzo di un linguaggio in codice per cui gli indagati chiamavano «appartamenti», «asparagi» o «tartufi» i reperti archeologici, e «motosega», «tagliaerba» o «motozappa» i metal detector.
In un caso, ad esempio, il tricaricese Dabraio è stato registrato mentre invita Camardo «a farsi una camminata da lui per “due tartufi”», alla presenza di Paradiso, già coinvolto – a detta sua – in altre indagini per traffico di reperti archeologici.
Di persona, però, i riferimenti degli indagati si sarebbero fatti più espliciti. Così in uno dei giri tra Basilicata e Puglia a caccia di merce da piazzare sul mercato clandestino, la microspia piazzata nell’auto in cui viaggiava il crotonese Pucci lo ha registrato in maniera nitida mentre spiega di fidarsi soltanto di Camardo. Poi aggiunge che gli scavi venivano effettuati nottetempo e ad accompagnarli nel posto giusto, nel materano, ci pensava «Pasquale» di Tricarico.
Ricco il bottino conseguito dai membri della presunta banda, che sentendosi al sicuro parlavano apertamente di prezzi: dai 125mila ai 150mila euro per una tomba con tutto il suo corredo funerario, ai 400 euro per un punta di lancia ben conservata e i mille per 2 vasetti gemelli. Questi i prezzi praticati dai “tombaroli”, destinati a salire non poco prima dell’arrivo al loro acquirente finale, italiano o straniero.  

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