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Da Tempa Rossa 2 al dissesto di Potenza: i fascicoli aperti e quelli fermi alle «clientele». Prescrizione e scarsa collaborazione: così si sono arenate le inchieste lucane

POTENZA – Se quasi un lucano su 10 ha ammesso ai rilevatori dell’Istat, dietro garanzia di anonimato, di aver fatto conoscenza col voto di scambio, sono drasticamente di meno quelli che hanno deciso di denunciarlo pubblicamente. Mentre chi è stato scoperto a promettere lavoro, favori o altro, in cambio di sostegno elettorale, in un modo o nell’altro è riuscito sempre a farla franca.
Assomiglia sempre più a una depenalizzazione di fatto quella dell’articolo 86 del testo unico elettorale per le amministrazioni locali, che punisce con 3 anni e mezzo di reclusione la cosiddetta “corruzione elettorale”.
A provocarla ci sono gli scarsi strumenti investigativi a disposizione degli inquirenti, che, ad esempio, non possono disporre intercettazioni. Ma anche la scarsa propensione alla collaborazione dei cittadini, trattandosi di un accordo chiuso tra politico e elettore generalmente per ragioni di bisogno e al riparo da testimoni. Quindi la prescrizione “breve”, che scatta dopo appena 7 anni e mezzo, e mal si concilia con i tempi della giustizia, che in Basilicata si moltiplicano per l’avvicendarsi di tanti magistrati di passaggio.
Da Tempa Rossa 2 al dissesto di Potenza: i fascicoli aperti e quelli fermi alle «clientele»
Così è stato per le accuse all’ex assessore del Comune di Potenza, Rocco Lepore, risalenti alle amministrative del 2004 e prescritte a fine 2011 (nel 2015 è arrivata l’assoluzione per un’altra imputazione).
Ma è questo il probabile destino anche dell’unico caso per cui è tuttora in corso un dibattimento, emerso durante l’ultima inchiesta su appalti e corruttele all’ombra delle trivelle di Total.
Assieme all’ex sindaco di Corleto Perticara, Rosaria Vicino, è a processo un cittadino di Gallicchio, a cui venne promesso un posto di lavoro in cambio di sostegno elettorale, a maggio del 2014, per una candidata “amica”. Trattandosi di una collaboratrice del sottosegretario Vito De Filippo, che quest’ultimo aveva cercato di aiutare chiedendo il sostegno della sindaca, l’ex governatore era finito a sua volta, inizialmente, sul registro degli indagati. Solo che la sua posizione è stata archiviata dopo poco. Se però si considera che la prima inchiesta su appalti e mazzette petrolifere nella Valle del Sauro, il cosiddetto Totalgate, è arrivata alla sentenza di primo grado 7 anni e mezzo dopo gli arresti, è evidente che per quest’ultimo caso, inserito in un’inchiesta ancora più complessa, difficilmente ci sarà un giudicato definitivo entro il 2022, quando scatterà la prescrizione.
Prescrizione e scarsa collaborazione: così si sono arenate le inchieste lucane 
Stesso discorso per un’altra iscrizione eccellente, risalente agli inizi 2015, che riguarda il governatore Marcello Pittella, nell’ambito dell’inchiesta sul dissesto del Comune di Potenza. A oggi, infatti, i pm non hanno nemmeno chiuso le indagini, quindi nell’eventualità che non optino per mandare tutto in archivio il tempo per i 3 gradi di giudizio è già praticamente dimezzato.
Ha ottenuto un’assoluzione nel merito, invece, l’ex consigliere regionale Sergio Lapenna, che nel 2014 era stato accusato di aver promesso l’assunzione nei servizi segreti a un ex amico, in cambio del suo sostegno elettorale. 
Diversi, poi, gli episodi in cui gli inquirenti sono riusciti a individuare favori elargiti con «criteri clientelari» ma non sono riusciti a fotografare lo scambio elettorale. E’ il caso delle inchieste sulle assunzioni facili in enti controllati dalla Regione, come Arpab, Acquedotto lucano e Sviluppo Basilicata, per cui sono finiti a processo diversi amministratori, ma nessuno dei presunti suggeritori politici dei nomi da “piazzare”.
Ieri, intanto, il consigliere regionale Gianni Rosa è tornato a evocare il «voto di scambio» a proposito del programma sul reddito minimo di inserimento, che in questi giorni interessa quasi 4mila persone. Tre anni fa lo aveva fatto anche per il patto pre-elettorale stipulato tra Marcello Pittella e l’assessore Nicola Benedetto, in cui il primo prometteva al secondo un posto in giunta.
All’epoca si disse che era un accordo politico, perciò insindacabile. Ma non ci sarebbe da meravigliarsi se qualche cittadino avesse riferito all’Istat in maniera diversa.
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