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Nelle motivazioni con cui confermano i sequestri, i giudici potentini parlano di «irregolarità della procedura di campionamento» e «attività letteralmente fraudolenta» basata sulla «totale sudditanza nei confronti di Eni» da parte dei laboratori che analizzavano le acque
POTENZA – E’ «fondata» l’accusa contro l’Eni di aver smaltito illecitamente nel centro oli di Viggiano i rifiuti prodotti dall’estrazione del petrolio, con procedure che hanno fatto conseguire all’azienda un «ingiusto profitto» (per milioni di euro). E’ la motivazione in base alla quale il Tribunale del Riesame di Potenza ha confermato, il 16 aprile scorso, il sequestro di due vasche e del pozzo di reiniezione al servizio del centro oli dell’Eni in Val d’Agri.
Secondo la perizia presentata dai pm – giudicata dal Tribunale del Riesame «di chiarezza adamantina» – l’Eni reiniettava nel sottosuolo non solo l’acqua venuta in superficie con il petrolio estratto in Val d’Agri ma anche «altri reflui provenienti da distinti processi di produzione effettuati all’interno del centro oli» (così risparmiando notevoli cifre). Secondo il Riesame, ciò avrebbe richiesto una diversa classificazione dei reflui, non reiniettabili nel pozzo come invece avveniva: «Allo stato» e «in assenza di correttivi» – è scritto nelle motivazioni – tali reflui non potevano avere il codice attribuito ad essi dall’Eni e non potevano quindi essere smaltiti come avveniva in Val d’Agri. Il Tribunale ha valutato anche le intercettazioni agli indagati e, definendo «imbarazzanti» alcune conversazioni, ha spiegato che esse confermano il quadro accusatorio. Peraltro – è scritto nelle motivazioni – la difesa non ha contestato i contenuti delle intercettazioni stesse «né ha offerto di esse una qualunque interpretazione alternativa».
Sui reflui che, in Val d’Agri, l’Eni smaltiva o reimmetteva nel sottosuolo dopo l’estrazione del petrolio vi furono «controlli approssimativi e carenti» da parte dell’Arpab, l’azienda di protezione ambientale della Basilicata: a scriverlo sono sempre i giudici del Tribunale del riesame di Potenza nelle motivazioni con cui hanno confermato i sequestri della vasche del centro oli di Viggiano e del pozzo di reiniezione «Costa Molina 2» di Montemurro (Potenza). Secondo il Riesame, i tecnici che controllavano il processo di smaltimento delle acque erano coscienti che esse superavano «i valori di legge», fino al punto da «filtrare preventivamente i campioni prima di inviarli al laboratorio». Tale «attività letteralmente fraudolenta» era basata anche sulla «totale sudditanza nei confronti di Eni» da parte dei laboratori che analizzavano le acque: uno degli indagati, infatti, interrogato dagli inquirenti, ammise «l’irregolarità della procedura di campionamento».
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