Il quartiere Bucaletto
3 minuti per la letturaPOTENZA – «Il mio ultimo desiderio è poter far uscire la mia bara dalla porta e non dalla finestra».
A Bucaletto la speranza, dopo aver sposato figli e nipoti, è quella di poter morire in una casa, una vera.
Non un prefabbricato, così piccolo da non permettere neppure a una bara di uscire dalla porta. Non un prefabbricato, il cui certificato di garanzia è scaduto ormai da 30 anni. Non un cubicolo da 49 metri quadri in cui vivono famiglie anche con tre figli.
Una casa, come mille volte è stato promesso, come a ogni stretta di mano del politico di turno è stato garantito.
Ma a Bucaletto stanno perdendo la speranza. «Non sono neanche più arrabbiati – racconta Michela Marino, presidente dell’associazione La nuova Cittadella – sono rassegnati. E neanche possiamo dire che l’amministrazione non sia collaborativa. Ma non si muove nulla».
I fondi ci sono, 8 milioni lasciati da Santarsiero con il Piano città, in teoria ci dovrebbero essere anche altri 18 milioni conquistati da De Luca con il bando “Piano delle periferie” (fondi di cui, al momento, sembrano essersi perse le tracce). Ma «non si può affrontare una situazione come quella di Bucaletto – dice Marino – con strumenti normali. Servirebbe una legge d’emergenza, un commissario straordinario. Servirebbe una strada per rendere anche il percorso burocratico più veloce. Perché altrimenti Bucaletto resterà com’è per altri 40 anni. Se prima qualcuno non muore sotto le macerie di un prefabbricato».
Un’emergenza va affrontata con i giusti strumenti. Invece, conferma anche l’assessore Fernando Picerno, «i tempi tecnici si allungano a dismisura. Noi i soldi li abbiamo, ma ogni provvedimento deve passare per tre enti – Comune, Ater e Regione – poi fai una gara e devi sperare che non ci siano ricorsi. Ora, per i 70 alloggi abbiamo fatto i piani attuativi, tutto è in mano all’Ater che dovrà fare il bando di gara. Sperando non ci siano ricorsi, crediamo di poter partire con i lavori entro l’estate. Ma prima di 3 anni non credo riusciremo a concludere». Passano gli anni tra progettazioni, bandi, passaggi tra enti. Bisogna rispettare il Codice degli appalti, se c’è un ricorso aspettare anche i tempi della giustizia.
E’ la burocrazia, bellezza. Solo che non solo poi corri il rischio di perderli i finanziamenti ma, soprattutto, “regali” ai cittadini di Bucaletto la certezza che da quei prefabbricati non usciranno mai.
E quelli che il prefabbricato l’hanno lasciato bisognerà prima o poi sistemarli. Ricordiamo che l’allora presidente della Regione Pittella mise a disposizione 4 milioni e mezzo di euro perché circa 450 famiglie potessero lasciare il prefabbricato. Si prevedeva di coprire un fitto di 300 euro mensili per tre anni. In tal modo, con i prefabbricati vuoti, si sarebbe potuto abbattere e poi pensare a ricostruire.
Ma a Bucaletto, dove ormai poco ci si fida delle parole anche se i soldi ci sono, davvero in pochi hanno aderito al bonus fitti. Sono circa una ottantina. Questa scarsa adesione – dovuta sì alla mancanza di fiducia, ma anche al fatto che i più indigenti un trasloco non possono proprio permetterselo – consentirà a chi ha aderito al bonus di vedersi garantito per qualche anno ancora il fitto. Ma ci sono ancora 350 famiglie che – anche in questa fase di emergenza, in cui bisognava rispettare le distanze e frequentare le scuole da casa – restano in un prefabbricato. E rischiano di restarci ancora per anni.
«E quando riusciremo a liberare Bucaletto – si chiede Marino – con questi tempi che si allungano a dismisura? Oggi manca il tecnico, domani non c’è la funzionaria, fanno il bando e devono passare i mesi, poi c’è il ricorso e si ricomincia daccapo. Io sinceramente non credo che negli ultimi 15 anni le amministrazioni che si sono succedute non abbiano voluto risolvere il problema. Ma non basta. Prima che si entrasse in zona rossa abbiamo avuto un altro incontro con gli assessori Vigilante e Picerno, che ci hanno detto che stanno mettendo a punto la progettazione del Piano città. Non è che noi non capiamo che si stanno impegnando. Ma qui non cambia nulla».
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