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POTENZA – Con la povertà ormai convive una parte sempre più numerosa della popolazione. E in alcuni contesti il fenomeno è ormai così radicato che si può considerare cronico. Povertà non è più solo non poter mettere insieme il pranzo con la cena. Ma anche non poter accedere alle cure sanitarie, non potersi permettere le medicine, dover affrontare il crescente disagio tra i ragazzi senza poter usufruire dei necessari strumenti. Significa aver paura del futuro, non riuscire a immaginarlo un miglioramento.
Povertà, tra l’altro, non è più una condizione solo legata all’assenza di lavoro, come emerge dal Rapporto Caritas “Controluce”, presentato ieri al Centro Polifunzionale di Tito. Perché tra le 3505 persone accolte e sostenute dai 26 Centri di ascolto sparsi per la diocesi di Potenza – Muro Lucano – Marsico Nuovo, ormai ci sono anche tanti lavoratori. Persone che fino a qualche anno fa neppure avrebbero pensato di chiedere aiuto. «Sul totale delle persone ascoltate – si legge nel Rapporto – il 45% non si è mai rivolto alla Caritas in passato: alle persone in carico ai servizi da tempo, si affiancano nuovi poveri che mai avrebbero pensato di chiedere aiuto».
Eppure ci sono, da un anno all’altro, quasi mille persone in più da seguire e aiutare. E i dati peggiorano ancora nel primo semestre del 2023: tra gennaio e giugno si è registrato un ulteriore incremento del 14%.
Il Report – presentato dalle curatrici Giorgia Russo e Carmen Tito, dall’arcivescovo metropolita di Potenza – Muro Lucano – Marsico Nuovo, Salvatore Ligorio, dal direttore di Caritas, Marina Buoncristiano e dalla direttrice generale dell’Inps Basilicata Benedetta Dito – è il frutto del lavoro quotidiano dei 26 Centri di ascolto diocesani, definiti «vere e proprie antenne, in grado di captare le esigenze del territorio e meglio gestire le situazioni di maggiore vulnerabilità che riguardano principalmente le famiglie con figli minori».
E quelle “antenne” raccontano di esistenze sempre più precarie: bassa retribuzione, contratti part-time spesso involontari e discontinui. E ancora licenziamenti nella fascia d’età 45-50 anni con impossibilità di reinserimento nel mondo del lavoro. I racconti sono quelli di un territorio che ricco non lo è mai stato, ma su cui «i cambiamenti sociali, politici ed economici che caratterizzano il tempo presente rendono il fenomeno della povertà un puzzle complesso, costituito da molteplici tasselli».
E alle vecchie povertà si aggiungono quelle nuove: «Le forme di impoverimento, la crescita esponenziale delle disuguaglianze unitamente alle nuove vulnerabilità – scrivono Russo e Tito – delineano uno scenario complesso e allo stesso tempo incerto che necessita di azioni concrete con e per i poveri».
E sono i numeri a dare un senso alle parole: la percentuale di persone in carico di nazionalità italiana è pari al 76,4% (nel 2021 era l’85,7%) dato, da sempre, in controtendenza rispetto a quello nazionale. Cresce invece rispetto agli anni precedenti, l’incidenza delle persone straniere (oltre il 22%): nello specifico, il 7,7% è rappresentato da ucraini che in fuga dal Paese in seguito al conflitto, sono stati accolti e accompagnati a vario titolo dalla rete Caritas.
In costante crescita le donne che chiedono aiuto: gli accessi femminili nei Centri di ascolto, sono passati dal 47% del 2020 al 59,6% del 2022. «Sono loro, molto spesso – si legge ancora – a chiedere aiuto e a farsi portatrici dell’intero nucleo familiare portando in luce fragilità multiformi e complesse».
E neanche a dirlo, nonostante slogan e promesse, «le situazioni di maggiore vulnerabilità riguardano principalmente le famiglie con figli (69,7%); tra queste oltre il 40% ha figli minori. Un dato che lascia già intuire la complessa multidimensionalità dei bisogni di cui questi nuclei sono portatori: la povertà minorile, infatti, in un contesto territoriale già così precario, assume tratti fortemente caratteristici che inevitabilmente si ripercuotono su ogni aspetto della vita».
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