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Nella prima domenica in cui la chiesa della Trinità a Potenza è aperta, all’interno l’atmosfera non induce al silenzio, come indicava il vescovo

POTENZA – “Vera et una trinitas una et summa deitas”, leggi entrando nella chiesa della Santissima Trinità, la prima domenica mattina di riapertura dopo oltre tredici anni di chiusura, ma non basta l’antifona al Magnificat per farti sentire in una chiesa.
Anche se in quella chiesa sei entrato tante volte, in passato, magari quando eri giovane, giovanissimo, e hai sentito le funzioni, e ti sembrava proprio di essere in una chiesa.

Ma ora è diverso. Ti accomodi all’ultimo banco. Sai bene cos’è che modifica l’aria all’interno della parrocchia: l’omicidio di Elisa Claps nel 1993, il ritrovamento del suo corpo nel sottotetto nel 2010. Ma cerchi comunque di capire cos’altro ci sia di così particolare, di così estraniante. Potrebbe essere il colore, quel bianco da parete appena pitturata, che abbacina il visitatore, confonde l’antico frequentatore, stona con l’aspetto da chiesa antica.

“Te invocamus te adoramus te laudamus” prosegue la scritta che gira in alto lungo la trabeazione, attorno alla navata, ma non ce la fa ancora a trasmettere l’idea di chiesa. Dentro è tutto come prima: le quattordici formelle della Via Crucis, gli ornamenti dei finti capitelli, le statue candide di Gesù e della Madonna coronata di stelle. Tutto come quando l’ingresso era stato sigillato, il portone chiuso a più mandate, il 18 marzo del 2010.

Quasi tutto, in effetti. Quegli occhi elettronici – telecamere? Sensori di movimento? – negli angoli della chiesa di sicuro non c’erano. Le spie che si accendono e si spengono intercettano l’occhio, non consentono di concentrarsi sull’ambiente.
In un banco centrale ci sono quattro persone sedute una accanto all’altra. Nell’ultimo banco in fondo, tre persone, una mentre sgrana fra le dita un rosario.

Una signora anziana entra e chiede a un uomo in piedi di aiutarla a piazzare un mazzo di fiori. «Ma sono fiori finti», avverte. Il sorriso dell’uomo è accogliente. «Così durano di più», commenta la signora, rinfrancata. Il mazzo di colore chiaro viene piazzato su di un altare laterale, davanti a un quadro della Madonna col Bambino, appoggiata alla statua di legno raffigurante san Vincenzo Ferrer. Poi entra un gruppo più chiassoso, un terzetto. Uno dei tre spiega agli altri come alcune parti del pavimento, davvero lucido, siano state rifatte da capo.

Irrompe così la sensazione che la chiesa non sia un luogo adibito alla preghiera, alla meditazione silenziosa, come da intenzioni espresse dal vescovo Salvatore Ligorio al momento della riapertura il 24 agosto scorso, ma un luogo da visitare per la curiosità di vedere in che condizioni si trovi dopo tanto tempo.

Ecco, questo è un elemento disturbante. “Benedicta sit sancta trinitas”, lì in alto, non basta ad annullarne gli effetti.
Un altro terzetto di visitatori – madre, padre, figlio – che entra mentre il papà esclama: «Ah, è venuta proprio bella», guardandosi attorno, rafforza la sensazione.

La peggiora, trasformandola in qualcos’altro, la coppia di donne che entra subito dopo. Cellulari alla mano, si spingono fino alle soglie dell’altare. Lo sguardo vaga in alto, in direzione presunta del sottotetto. Non c’è raccoglimento, non c’è nemmeno voglia di ritrovare un luogo caro.

La sensazione, ora, è di trovarsi in una meta turistica. In un luogo da dark tourism, i viaggi nei luoghi dell’orrore. Non ancora con i numeri della Avetrana del delitto Scazzi – oggetto di veri e propri pellegrinaggi – ma comunque in quella scia.
Andate via le donne, lo sguardo resta impigliato sul cordone rosso che delimita l’altare.

Quelle trecce porpora, quei paletti dorati, più che bloccare il curioso da questa parte sembrano voler trattenere l’orrore che proviene dalla parte opposta. Quello è l’altare dietro il quale Danilo Restivo disse di aver parlato con Elisa, quella la strada verso le scale che portano al sottotetto.
No, in questo luogo per ora è difficile sentirsi in chiesa, difficile accogliere l’invito alla meditazione, al silenzio. È un posto che urla, invece. Urla la sua impossibilità, per ora, di essere davvero una chiesa. È domenica mattina e le campane non chiamano a raccolta i fedeli, perché non ci sarà messa. Non può esserci messa, in questa atmosfera.

Gli angioletti dorati ai lati dell’altare, i lampadari in ferro battuto appesi a catenelle, le figure dipinte da Mario Prayer, non bastano. Quasi aggiungono inquietudine. “Virtus altissimi obumbrabit tibi”, si legge, ma qui a stendere un’ombra non è la potenza dell’Altissimo.

Chiuso il portone, all’esterno passa un’altra famigliola. Il marito lascia la carrozzina nelle mani della moglie. Si allunga nel vicolo. È la posizione migliore per scattare una buona foto.

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