Una delle serre
2 minuti per la letturaPOTENZA – Quattro anni di carcere a testa per i 5 imputati per la maxi-piantagione di marijuana scoperta nelle campagne di Venosa a ottobre del 2019. Anche se le menti e gli investitori dietro a tutta l’operazione restano ancora avvolti, con ogni probabilità, nell’ombra.
E’ quanto deciso ieri dal giudice dell’udienza preliminare, Antonello Amodeo, nel processo a carico di tre pregiudicati della provincia di Reggio Calabria e due cittadini marocchini, con regolare permesso di soggiorno.
Il gup ha accolto solo in parte la richiesta avanzata dal pm Matteo Soave, che in aula aveva proposto 9 anni di reclusione cadauno per Pasquale Nasso (29) e Bruno Rao (49) di Polistena, Antonino Giovinazzo (35) di Gioia Tauro, e Jamil Adbelmalek (30) e Larbi Lahmidi (23). Con tutto lo sconto di pena di un terzo per la scelta del rito abbreviato.
Replicando all’accusa, infatti, gli avvocati Angelo Sorace, Francesco Tripodi e Luigi Angelucci, per i tre calabresi, e Rosita Arcieri per i due marocchini, avevano minimizzato il ruolo dei loro assistiti.
Stando alla tesi dei difensori, in altre parole, a finire nella rete della giustizia sarebbe stata soltanto la manodopera addetta al trasporto e al lavoro della terra o poco più. Ma per capire se sia stata questa a fare breccia nel convincimento del giudice occorrerà attendere il deposito delle motivazioni della sua sentenza, previsto entro i prossimi 90 giorni.
Il giorno del blitz in quel terreno tra le contrade Santa Lucia e Mattinelle i carabinieri avevano trovato sul posto, e arrestato, i 2 marocchini e 1 dei 3 calabresi. Mentre gli altri 2 sono stati fermati il giorno dopo a bordo di un autobus di linea.
La scena che si è aperta davanti allo sguardo dei militari sarebbe stata degna di uno dei tanti film sulle imprese di banditi leggendari, con 11mila piante di cannabis alte tra i 2 e i 3 metri, che una volta fiorite avrebbero potuto restituite tonnellate di marijuana. In totale: 3.200 metri quadrati di superficie coltivata distribuiti su 7 serre coperte, con un sistema di irrigazione nuovo di zecca per garantire la continuità della produzione su larga scala 12 mesi su 12, o quasi.
In un capannone annesso i carabinieri avevano scoperto anche il resto delle attrezzature per l’essiccazione delle piante, e un’imbustatrice sotto vuoto. Più 59 buste, già termosaldate e pronte al trasporto, contenenti 50 chilogrammi di marijuana, e altri 68 chilogrammi della stessa sostanza in fase di essiccamento. Droga che sul mercato avrebbe avuto un valore di circa 700 mila euro.
Dopo l’arresto dei 5 le indagini si sono subito indirizzate alla ricerca di eventuali complicità, a partire dalla proprietà dei terreni in questione. Ma da allora sono rimaste sotto traccia. Almeno fino all’udienza di ieri mattina.
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