Giulio Ferrara
4 minuti per la letturaQUALCHE giorno fa, al momento della riconferma di Giulio Ferrara a presidente del Cotrab, il Consorzio delle 38 Aziende lucane del trasporto privato, all’assemblea mancavano diversi votanti (pare un terzo): il clima vacanziero, dissensi interni o lo stile pesce in barile non si sa, sta di fatto che il presidente uscente ha conservato la poltrona.
Nessuna ombra sulla sua rielezione l’ha proiettata la sentenza passata in giudicato (confermata in tutt’e tre i gradi di giurisdizione) che lo ha condannato a 2 anni e 6 mesi di reclusione per un reato particolarmente grave: la violenza sessuale con abuso di posizione dominante nei confronti di una componente della sua segreteria in Sita Sud, società di cui all’epoca dei fatti era direttore. Insomma, un Polanski in salsa al peperone crusco.
La parte offesa continua ancora a lavorare in azienda (la Sita Sud è detentrice del 38% delle quote del Consorzio; Ferrara ne è stato prima direttore e ora ha un incomprensibile ruolo di ‘procuratore’ presso Cotrab), con la spada di Damocle di qualche rappresaglia.
Era, inoltre, filtrata anche l’ipotesi di un episodio analogo nei confronti di un’altra donna, in una posizione subalterna e non legata all’azienda ma ai servizi alla stessa, secondo un paradigma ormai obsoleto ma sempre in agguato nelle organizzazioni aziendali al cui vertice piace ‘sultaneggiare’.
Così Ferrara è succeduto a sé stesso, salvo la voce di protesta del consigliere regionale M5S Gianni Leggieri e le notizie giornalistiche che registravano questa anomalia. Confindustria Basilicata di cui Ferrara è vicepresidente della sezione Trasporti ha investito della questione i probiviri locali e nazionali.
Senonché, il diavolo fa le pentole e non i coperchi e di traverso ci si è messa un’entità al femminile nazionale, che ha fra le promotrici Livia Turco (già ministro e oggi presidente della Fondazione Nilde Iotti); Giovanna Martelli (delegata alle Pari Opportunità nel corso del Governo Renzi); Elisa Ercoli (presidente di Differenza Donna); Alessandra Bocchetti; Laura Onofri e Fulvia Astolfi.
Si chiama “Dallastessaparte” ed è passata al contrattacco usando l’artiglieria pesante: ha pubblicato una petizione sulla piattaforma Change.org rivolta al Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte; alla ministra dei Trasporti Paola De Micheli; alla ministra delle Pari Opportunità Elena Bonetti e all’Assessora Regionale ai Trasporti Donatella Merra, in cui, senza mezzi termini, chiede la destituzione d’ufficio di Ferrara. Non spetta a loro rimuoverlo, sia inteso, perché il ruolo affidatogli è in un’entità privata, ma il problema etico c’è tutto.
L’appello (https://www.change.org/p/presidente-del-consiglio-giuseppe-conte-il-presidente-cotrab-basilicata-condannato-per-violenza-sessuale-deve-essere-destituito), in poche ore e senza particolare pubblicità, ha raccolto centinaia di firme (anche di network al femminile, fra cui Noi Rete Donne) e dimostra come la vicenda non possa essere tenuta sotto il tappeto. Così nessuno può fare il vago e dire di non sapere.
Alla petizione ha dato la sua adesione anche l’avvocata Cristiana Coviello, nota professionista e componente di un ormai reso fantomatico Osservatorio regionale sulla violenza di genere e sui minori: “Siamo da due anni in attesa che l’assessore alle Politiche della Persona, Luigi Leone, ma, – dice – malgrado continue PEC volte a sollecitarlo, fa orecchie da mercante.”
A supporto della lavoratrice, inoltre, sta per entrare in campo anche la Consigliera regionale di Parità Ivana Pipponzi, che ha assunto tale carica nel 2017, successivamente ai fatti imputati a Ferrara: “Nella mia qualità di pubblico ufficiale – dichiara al Quotidiano del Sud – sto per inviare all’azienda di cui la signora è dipendente una diffida affinché sia messa in sicurezza contro possibili rivalse del condannato o di qualche sua longa manus. Nel caso si è perpetrata una vera discriminazione di genere che va perseguita.”
Il problema è che non si è raggiunta una consapevolezza tale da generare uno stigma sociale nei confronti di chi si macchia di un reato banalizzato dal proverbio-alibi: “L’uomo è cacciatore”. Anzi, a proposito di stigma, è più facile che, vista la mentalità ancora corrente colpisca la parte lesa, sempre permeabile a loffie insinuazioni.
Le donne, però, stavolta non ci stanno e dicono no, persino con petizioni che alleano coloro che desiderano una precisa presa di posizione da parte delle istituzioni, che vada oltre la sentenza di condanna passata in giudicato e la cui pena non sarà espiata perché sospesa. Affinché non si replichino tali violenze e sopraffazioni.
Da poco insediatasi alla guida della Commissione Regionale per le Pari Opportunità Margherita Perretti indica come emblematica la vicenda: “Possiamo partire da questa storia – riflette – per sviluppare alleanze fra gli organismi di parità regionali e le politiche della Giunta nonché sollecitare una sensibilità collettiva, di uomini e di donne, sul tema delle pari opportunità. La strada è lunga, perché le sentenze vanno incarnate in un’etica sociale che superi i rigurgiti del maschilismo.”
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