La conferenza stampa di stamattina con il procuratore Francesco Curcio, la pm Laura Triassi, il dirigente della squadra mobile Donato Marano e il commissario Antonio Mennuti
2 minuti per la letturaIn carcere Antonio Ferrieri e Alessandro Patriziano, ai domiciliari Vittorio Ferrieri, Michele Patriziano e Romeo Chingoli. Due obblighi di dimora
POTENZA – Nell’area del Vulture Melfese prestavano denaro a tassi di usura, da un minimo del 50% annuo, fino a un interesse del 20% mensile, a operai, imprenditori e professionisti, che in alcuni casi, per paura di ritorsioni, non hanno collaborato con le forze dell’ordine: sette misure cautelari – due in carcere, tre ai domiciliari e due obblighi di dimora – sono stati emesse dal gip di Potenza, Rosa Maria Verrastro, ed eseguite dalla Polizia nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Potenza, che ha portato a nove persone indagate a vario titolo per usura, estorsione e detenzione illegale di armi da fuoco e munizioni. I particolari dell’inchiesta sono stati illustrati stamani, a Potenza, nel corso di una conferenza stampa, dal Procuratore della Repubblica Francesco Curcio, dalla pm Laura Triassi, dal dirigente della squadra mobile Donato Marano, e dal commissario Antonio Mennuti. Si trovano in carcere Antonio Ferrieri e Alessandro Patriziano; sono invece ai domiciliari Vittorio Ferrieri, Michele Patriziano e Romeo Chingoli.
L’obbligo di dimora a Melfi (Potenza) è stato infine disposto per Santo Fabio Patriziano e Luigi Lomio. Secondo gli investigatori uno degli arrestati aveva a disposizione un’arma, di cui si sarebbe liberato prima di una perquisizione: il della pistola è stato accertato in alcune conversazioni: il gip ha però escluso l’aggravante del metodo mafioso, anche se per i magistrati il gruppo agiva «in collegamento» con i clan. Proprio in riferimento alle armi, in una conversazione veniva spiegato che la pistola era stata buttata in un fiume prima di una perquisizione «tanto – come emerge da un’intercettazione ambientale – la guerra non c’è più», facendo riferimento agli scontri tra i clan della zona. I soldi venivano prestati a operai e professionisti, ma anche a un medico del posto: in quest’ultimo caso la cifra è arrivata fino a un milione di euro, con circa 20 mila euro al mese e un tasso del 20% circa ogni quattro o sei mesi. L’indagine riguarda un filone dell’inchiesta su appalti e corruzione a Melfi, che a giugno ha portato ad alcune ordinanze di custodia cautelare, tra cui i domiciliari per l’imprenditore Antonio Ferrieri. Il gruppo disponeva quindi di una forte disponibilità economica, su cui la Procura sta ancora indagando, e alcune delle vittime – per lo più persone con prestiti minori da restituite – non hanno collaborato con i magistrati, venendo quindi incriminati per reticenza o false dichiarazioni al pm. “Gli usurai – ha evidenziato Curcio – a nostro avviso erano collegati con i clan della zona, e con il tessuto economico e criminale del Vulture Melfese, e gli stessi indagati, in alcune conversazioni, spiegavano alle vittime di dover rendere conto ai clan, come forma di minaccia».
Davide De Paola
ANSA
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