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POTENZA – Quella lettera l’avrà cambiata, limata, modificata e riscritta almeno quattro volte, confida. Ma solo ieri si è deciso a depositarla, concretizzando le dimissioni fino a quel momento individuate come un’opzione. Da almeno venti giorni Dario De Luca aveva pronto nel cassetto lo schema del testo con cui ieri ha rassegnato le dimissioni dal ruolo di sindaco di Potenza. Non sono definitive: la legge concede venti giorni per revocare la decisione.
Il passo indietro, non lo nasconde, comunque non è scontato. E la conferenza stampa di ieri in Municipio è servita a far emergere il contesto con cui sarebbe disposto a indossare nuovamente la fascia, evitando così che la città sia affidata a una gestione commissariale e poi a nuove elezioni.
«Un commissario aggiungerebbe altro danno alla città», dice. Ché già il dissesto, approvato a novembre, ha imposto meno servizi e più tasse per tutti. «Un commissario non si farebbe troppi scrupoli ad applicare in maniera certosina le regole del risanamento finanziario». A farne le spese, la tenuta sociale. E già ora che all’ente tocca provare a riportare i conti in ordine, cominciano a farsi largo scelte «dolorose». La chiusura di due delle scale mobili cittadine, per esempio, è una scure sul livello occupazionale del trasporto. «Ma è l’effetto del risparmio necessario dopo anni di scelte clientelari, che hanno ingrossato la spesa pubblica».
La critica al passato attraversa in lungo e in largo il racconto che De Luca fa della ricerca di soluzioni per la città. «Un corno era tutto a posto», sbotta quando spiega delle rassicurazioni ricevute dall’ex assessore al Bilancio, Federico Pace, per anni nell’esecutivo del predecessore Vito Santarsiero. È a quella gestione che imputa lo stato di difficoltà a cui è stata destinata oggi Potenza.
E poi c’è la città ostaggio «di sporchi interessi». Come nel sistema di smaltimento dei rifiuti, in cui «abbiamo messo mano con la stazione di trasferenza pubblica».
Nell’isolamento di Potenza c’è anche un ruolo che spetta ai consiglieri regionali. «No, non ce l’avevo con il presidente Pittella quando mi lamentavo dell’assenza della Regione». Nelle interlocuzioni durante la stesura della finanziaria regionale i consiglieri regionali non si sono spesi. «Eppure se muore Potenza muore tutta la Basilicata». Perchè, aggiunge il sindaco De Luca, la crisi potentina è un pezzo di un disegno preoccupante che tende a minare i territori. «Ci vorrebbe un’altra Scanzano contro la scellerata idea delle macroregioni».
Ma in attesa della consapevolezza popolare è alla politica che chiede una mano. Non ai partiti, però, con i partiti non riesce a dialogare. «Che vuol farci, il politichese non è il mio linguaggio». Della chiarezza, invece, fa metrica del suo mandato. Così prima nella lettera, poi più volte in conferenza stampa, ribadisce che sì, è pronto da mesi a governare con tutte le forze politiche. Ma l’appello lanciato dal palco della Cgil, il 9 settembre scorso, non presupponeva veti o condizioni di parte. «Un governo di rinascita cittadina funziona se ci sono dentro tutti». Se non altro per avere più forza nel chiedere conto anche a viale Verrastro. «E sia chiaro, Potenza non chiede l’elemosina, ma un riconoscimento alle funzioni di capoluogo. In cambio, garantiamo rigore».
Il tempo a disposizione per capire come la vicenda andrà a finire è determinato. «Al momento – dice – registro una persistente presa di distanza dal progetto da me proposto», soprattutto da parte di Pd e alleati. Non ha mandato giù i veti incrociati sulle forze da escludere nel prossimo esecutivo, non manda giù che ancora ci sia chi, nel centrosinistra, racconti il dissesto come una scelta evitabile. «È una condizione oggettiva, andava ratificata».
La ricetta? «Potenza ha bisogno di rabbia e determinazione. Porte in faccia, proprio basta».
s.lorusso@luedi.it
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