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LAVELLO – Per Lucia quel video terribile che racconta delle guerre tra medici all’interno di Cardiochirugia è stato «solo una conferma. Lo diciamo da tempo, lo dicevamo anche in tempi non sospetti. E non è solo quel reparto a non funzionare. Purtroppo noi in quell’ospedale ci siamo praticamente accampati. E abbiamo visto di tutto: tensioni, scarsa collaborazione tra medici, maleducazione degli infermieri. Una notte, ho suonato il campanello perchè mia sorella aveva la febbre a 40. L’infermiere è arrivato dopo mezz’ora. Stava dormendo, eravamo noi ad averlo disturbato. E un’altra volta le si era staccato il catetere: l’infermiere di turno è arrivato bestemmiando».
Lucia è la sorella di Anna Maria Pallotta, 38 anni.
Lo scorso 13 luglio Anna Maria è morta sotto gli occhi del marito, Adamo Gerardi. Era ricoverata nel reparto di Malattie infettive del San Carlo dall’8 luglio, ma nulla davvero avrebbe fatto immaginare questo tragico epilogo.
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Anna Maria Pallotta da 25 anni era affetta da una malattia autoimmune, denominata Les. «Significa – spiegano i familiari – che aveva un sistema immunitario deficitario. Un problema di carattere reumatologico per il quale, da anni, era seguita perfettamente dal dottor Olivieri».
Una malattia che – è bene precisarlo – Anna Maria teneva perfettamente sotto controllo. «Era una persona che ci teneva moltissimo alla sua salute, era precisa e rigorosa nel curarsi». Una precisione che, in 25 anni, deve aver trasmesso anche ai familiari: così i fratelli Lucia e Franco, così come il marito, sono ormai «dei medici mancati».
E quel rigore dava i suoi frutti, perchè Anna Maria aveva una vita assolutamente normale: «Noi – spiega il marito – andavamo a ballare, viaggiavamo». Non è quindi quella malattia la causa del decesso della 38enne di Lavello.
I problemi, infatti, sono altri e cominciano circa un anno fa a causa di un rene. Quale problema ci sia realmente ancora nessuno lo sa con certezza. «C’era chi vedeva un calcolo – dice il fratello Franco – chi non lo vedeva. Ognuno dava un parere diverso».
Così, per questo motivo, viene ricoverata al San Carlo una prima volta nel settembre del 2013. Un secondo ricovero a dicembre e poi ancora a febbraio di quest’anno.
A dicembre le inseriscono uno “stent” (uno strumento utilizzato per prevenire o risolvere rapidamente un quadro di ostruzione delle alte vie urinarie, e consentire il drenaggio dell’urina dal rene direttamente in vescica, ndr.), che poi cambiano a febbraio. «E’ riuscita a tenerlo una settimana, poi hanno dovuto toglierlo, era pieno di calcare, completamente sporco. Anna Maria aveva già la febbre. Per fortuna, secondo l’urologo, il calcolo si era messo in una posizione tale da non poter più dare fastidio e così le è stato tolto lo “stent” definitivamente. Nel frattempo però lei aveva contratto il batterio contro il quale ha combattuto nei mesi successivi».
Il batterio si chiama “Enterococco fecalis”. E la donna si trova a iniziare una lunga terapia antibiotica che non porterà alcun risultato. Ad aprile un nuovo ricovero al San Carlo, altri antibiotici. «L’hanno bombardata di antibiotici, rimbalzandola da un reparto all’altro: da Urologia a Malattie infettive a Reumatologia, dove lei chiedeva di restare. Ma per quel reparto ci sono liste d’attesa talmente lunghe, inutilmente pregava i dottori di essere seguita lì. E fino al giorno prima è stato così: nessun dottore di Reumatologia reperibile per lei. Quando è morta, improvvisamente erano tutti reperibili».
Anna Maria viene dimessa a maggio «e stava bene – dice il marito – succedeva sempre dopo qualche giorno di antibiotici. Poi però la febbre tornava». Autonomamente, decide di fare un’urinocultura. Quel batterio è ancora lì. Agli inizi di luglio la febbre si alza, arriva a 39-40. E il medico del reparto di Malattie infettive prescrive l’ennesimo antibiotico. La febbre resta lì. E l’8 luglio Anna Maria Pallotta torna al San Carlo per l’ennesimo e stavolta ultimo ricovero.
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Un comportamento superficiale e poco attento è quello che denunciano i parenti. «Quando siamo arrivati per l’ultimo ricovero – racconta il marito – io avevo gli esami di mia moglie, sapevo a quali antibiotici lei era resistente. E quale le danno subito? Proprio uno in quell’elenco. Io rincorro il medico glielo faccio presente e lui mi risponde che “i suoi colleghi avevano sbagliato”. Ed è sempre stato così, un continuo scaricabarile. Uno che ci diceva che era un problema reumatologico e quello era il reparto sbagliato, l’altro che ci diceva che era un problema urologico. E così fino alla fine noi non abbiamo capito quale era il problema: Anna Maria è diventata una cavia, spostata da un reparto all’altro. E nessuno che ci abbia mai detto: “noi non riusciamo a capire che sta succedendo, portatela altrove”. Anzi, per loro tutto andava bene».
Poi però, sabato 12 luglio la situazione peggiora. Intorno alle 9.30 la pressione di Anna Maria si abbassa a tal punto che lei perde i sensi. Così i medici decidono di sottoporla a una Tac con liquido di contrasto e a un ecocardio. La sorella riesce a sentire il dottore mentre a telefono parla di “embolia polmonare”.
«A me sembra strano che le facciano quella Tac con liquido di contrasto – dice Lucia – perchè nei giorni precedenti un altro medico si era rifiutato di farla, dicendo che aveva la febbre ed era pericoloso. Perchè farla ora? Annamaria continuava ad avere la febbre. E infatti quando è uscita piangeva. “Mi punge”, diceva».
Sia la Tac che l’ecocardio risultano negativi.
Però, dopo la mattinata difficile, la donna sembra riprendersi. Sta meglio, parla con il marito, con la sorella e il fratello. Questi ultimi la vedono bene e decidono così di tornare a Lavello. “Ci vediamo domani”, le dicono, lasciandola con il marito.
Ma non la rivedranno più, perchè Anna Maria intorno alle 22 inizia a star male di nuovo. Di nuovo la febbre è altissima, ma soprattutto lei sente un dolore allo stomaco. E’ una notte lunga: il marito chiama medici e infermieri più di 5 volte. Ad Anna Maria viene dato un gastroprotettore, poi il Buscopan, poi le viene fatto un clistere. «Va in bagno due volte e, per qualche minuto sembra andare meglio. Poi di nuovo il dolore e la decisione del medico – è quello di guardia, viene da Pneumologia – di inserire un sondino dal naso.
«Io ero sulla soglia – racconta Adamo – e ho sentito mia moglie dire ai medici che non vedeva più». I medici e i tre infermieri si allontanano e il marito entra in stanza. «Non vedo più», continuava a ripetere Anna Maria, mentre il respiro si faceva più affannoso. «Io le alzo le palpebre, la pupilla era completamente dilatata. E non riusciva più a respirare. Chiamo l’infermiera che arriva, vede la situazione, prova a chiamarla. Ma lei già non reagiva più».
A quel punto corrono i medici, vengono chiamati anche dalla Rianimazione. Ma è troppo tardi, inutilmente si prova a rianimare la donna. Perchè – chiede il marito – le è stato inserito quel sondino se mia moglie si era già liberata, era andata in bagno due volte? «E il dottore sbianca». Voglio sapere qual è la causa di morte, continua a chiedere. «Mi ha risposto che non lo sapeva. Poi hanno tirato fuori lo shock settico. E quando alle 4 del mattino hanno chiamato il primario hanno solo iniziato a parlare di autopsia interna». Ma alle 10 del mattino dopo Adamo Gerardi è davanti ai carabinieri per denunciare la morte di sua moglie, Anna Maria Pallotta.
La sua idea – e quella di tutti i familiari – è che la donna sia morta «a causa della superficialità, ma anche dalle carenti condizioni igienico sanitarie di quei reparti. Perchè quello stesso batterio lo aveva contratto anche una compagna di stanza di Anna Maria e siamo a conoscenza di altri casi».
La donna poi «aveva una malattia che le abbassava le difese immunitarie. E quel bombardamento di antibiotici l’aveva certo indebolita ulteriormente. Ma a darle il colpo finale sono stati la Tac e quel sondino».
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«Sono certo – dice il marito – che Anna Maria si potesse salvare, se solo fosse stata curata con maggiore attenzione e professionalità nelle ultimissime ore in cui è rimasta in vita. Fino a poco prima del decesso, i medici ci rassicuravano e riferivano che le condizioni generali erano buone; non c’era nulla di cui preoccuparsi. E mi ha colpito la loro insistenza, poi, perchè autorizzassi l’autopsia interna sul cadavere». Invece l’autopsia viene effettuata il 16 luglio dal medico legale Aldo Di Fazio, nominato dalla procura della Repubblica.
Negli ultimi giorni, il prefetto di Potenza – per conto del presidente della Repubblica cui si erano rivolti i familiari – ha manifestato sentimenti di vicinanza alla famiglia, mentre sul piano medico sono da pochi giorni iniziate le indagini cardiologiche. Gli esami istologici (quelli probabilmente più importanti) verranno eseguiti a fine mese.
«Esprimo piena fiducia nell’operato della Magistratura e del Ctu – ha dichiarato il legale della famiglia, Fabio Di Ciommo – a distanza di due mesi, nè il San Carlo, nè l’Asp ci ha ancora spiegato com’è morta la giovane, nè tantomeno ci risulta che sia stata avviata un’indagine interna per accertare eventuali responsabilità. Di certo, noi andremo fino in fondo, nel rispetto di una famiglia dilaniata da una perdita così inattesa e drammatica».
a.giacummo@luedi.it
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