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POTENZA – Il 35enne Emanuele Bruno non avrebbe digerito l’espulsione della sua azienda agricola dal consorzio di cooperativa “Organizzazione dei produttori del Mediterraneo” di Palazzo San Gervasio. Per questo si sarebbe rivolto ad alcune persone conosciute ad Orta Nova, in provincia di Foggia, che il 12 settembre dell’anno scorso avrebbero dato fuoco alla sede del consorzio.


E’ questo lo scenario ricostruito dai carabinieri della compagnia di Venosa, al comando del capitato Antonino Di Noia, che ieri mattina hanno notificato al giovane imprenditore di Palazzo San Gervasio un’ordinanza di misure cautelari per l’accusa di «concorso in danneggiamento seguito da incendio aggravato».
Per Bruno il gip di Potenza ha disposto l’obbligo di firma in caserma una volta al giorno e di dimora nel comune di residenza, che sarebbe Montemilone. Anche se di fatto negli ultimi tempi il 35enne avrebbe dimorato ad Orta Nova. Stessa misura disposta anche per i suoi tre presunti complici, tutti residenti nel piccolo centro del foggiano. Ovvero il 34enne Vito Caputo, il 21enne Leonardo Verlingieri, e il 23enne Raffaele Cara.


I pm, in realtà, avevano chiesto l’arresto dei 4. Per questo in una nota diffusa ieri mattina dal procuratore capo di Potenza, Francesco Curcio, è stata annunciata la proposizione di un appello con la reiterazione della richiesta al Tribunale del riesame. Perché quest’ultimo decida, però, potrebbero volerci mesi. Tanto più che le attività giudiziarie non urgenti resteranno ferme fino a settembre per la pausa estiva.
Alla base dell’espulsione dal consorzio di Palazzo San Gervasio dell’azienda di famiglia di Bruno, che gestisce diversi terreni anche nei comuni limitrofi di Venosa e Lavello, ci sarebbe stato un debito non onorato di 28mila euro per servizi e forniture offerte dal consorzio stesso, dove diversi produttori della zona conferiscono pomodori e ortaggi di vario tipo. Debito per cui risulta pendente anche un contenzioso giudiziario.
A collegare il risentimento di Bruno all’incendio del capannone in contrada Piani, dove aveva sede il consorzio, sono state le indagini dei carabinieri, che hanno stimato i danni provocati in oltre un milione di euro tra strutture, macchinari e suppellettili presenti al suo interno. Un collegamento basato perlopiù sul risultato di intercettazioni e analisi dei tabulati dei telefoni dei 4 indagati.


Bruno era già finito in passato nel mirino delle forze dell’ordine.
L’episodio più clamoroso, però, risale a 2 anni fa quando il suo nome è finito nell’inchiesta su una maxi-piantagione di marijuana scoperta a Venosa: 7 serre equipaggiate di tutto punto per un’estensione di 3.200 metri quadri, su cui i carabinieri hanno contato 11mila piante altre tra i 2 e i 3 metri.
Ad aprile il Tribunale di Potenza ha condannato a 4 anni di reclusione 5 persone accusate di aver messo in piedi la produzione: 2 contadini marocchini, e 3 pregiudicati della provincia di Reggio Calabria.


Sullo sfondo, però, è rimasto il ruolo dei proprietari dei terreni dove sono state realizzate le serre. Incluso proprio il 35enne Bruno di Palazzo San Gervasio.

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