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CON VITTORIO Emanuele di Savoia alla fine per Gino era andata bene. Certo la notizia dell’indagine del pm Henry John Woodock aveva fatto scalpore dopo l’arresto dell’erede dell’ultimo Re d’Italia, ma il processo si è risolto con un nulla di fatto. Altra storia per gli affari con Nicola alias “Rocco” Femia di Marina di Gioiosa Jonica. Tant’è che ieri, quando gli agenti della Mobile lo hanno cercato per la notificargli la nuova ordinanza di arresti domiciliari, era ancora in carcere con l’accusa di aver fatto affari col clan dei casalesi, mentre il fratello Antonio meno di 12 ore prima era stato liberato dal penitenziario di Melfi.
E’ iniziata nel 2006 ma ha preso una piega inaspettata lo scorso dicembre la complessa vicenda giudiziaria di Luigi (più conosciuto come “Gino”) e Antonio Tancredi, 48 e 47 anni, fratelli e imprenditori potentini specializzati nel gioco d’azzardo online, così come i cugini di Venosa con cui dividono la fama che il cognome si porta dietro non solo tra gli esperti del settore. Sei anni fa è stato proprio con tre di loro che Gino era incappato nelle maglie della giustizia. Non per la prima volta, a dire il vero, se si pensa a una serie di precedenti per gioco illegale che risalgono fino agli inizi della sua carriera, appena maggiorenne, quando a Potenza gestiva varie salette. Ma di sicuro la prima di un certo peso, con personaggi importanti e aspetti a dir poco inquietanti.
LA HOLDING CON VITTORIO EMANUELE – Tutto era nato nel 2005 a partire da un vecchio prefabbricato di quelli che arrivarono a Potenza dopo il terremoto dell’ottanta: una vecchina e due millantatori, che si erano spacciati per funzionari del comune. Dopodiché tramite un assegno e le intercettazioni gli investigatori sarebbero arrivati alla famiglia Tancredi, Vittorio Emanuele di Savoia, e Rocco Migliardi, un imprenditore di Messina attivo sempre nel settore dei videopoker considerato vicino al crimine organizzato. Secondo Woodcock, ancora in servizio nel capoluogo lucano prima del suo trasferimento a Napoli, tra gli indagati sarebbe esistita una specie di “holding del malaffare impegnata nel settore dei giochi fuori legge”. Quindi a giugno del 2006 scattarono le manette per Savoia e altre 16 persone. Ma di tutto questo davanti ai Tribunali di Potenza, e poi Milano e Messina, avrebbe resistito poco e niente. Prosciolto il presunto funzionario corrotto dei Monopoli. A settembre del 2009 prosciolti Gino, Massimo e Antonio Ivano Tancredi. Assolto l’altro cugino Rocco Tancredi, e un anno dopo assolti Vittorio Emanuele di Savoia, Rocco Migliardi e tutti gli altri “perchè il fatto non sussiste”.
LE ‘NDRINE EMILIANE – E’ andata in maniera diversa sei mesi fa quando gli agenti della finanza di Bologna si sono presentati a casa di Gino. Associazione a delinquere finalizzata al gioco illegale. Questa l’accusa per cui il gip emiliano lo ha messo agli arresti domiciliari nell’ambito di un’inchiesta sugli affari di un presunto boss della ‘ndrangheta arrivato a Ravenna dalla Locride tempo addietro: Nicola Femia, più conosciuto come “Rocco”, un sorvegliato speciale che alle spalle ha già una condanna a 23 anni per armi e traffico di droga. Per capirsi si tratta dell’inchiesta da cui è venuta fuori l’intercettazione di uno degli uomini più vicini al presunto boss che pensava di sparare in bocca al giornalista “ficcanaso” di Repubblica Giovanni Tizian. Femia infatti una volta trasferitosi al nord avrebbe organizzato una rete di sale giochi in varie regioni che fatturavano diversi milioni di euro all’anno, e per farlo secondo le fiamme gialle avrebbe stretto un accordo proprio con Gino Tancredi. «Uno dei più noti imprenditori del settore economico della raccolta del gioco online». Così viene descritto Tancredi dalla Dda bolognese. Un «soggetto accreditato negli ambienti istituzionali» anche perché «nei mesi tra marzo e maggio 2010 ha ripetutamente interagito in prima persona con esponenti politici – apparentemente del Senato della Repubblica – ed i vertici dell’Amministrazione dei Monopoli» per far modificare un decreto legge che aveva inciso nel settore di giochi, scommesse e concorsi. Per Tancredi i pm avevano chiesto il carcere come per Femia, ma si sono dovuti accontentare dei domiciliari dato che il gip non ha creduto all’esistenza di una ‘ndrina di cui avrebbe fatto parte anche l’imprenditore potentino. Una bocciatura confermata dal Tribunale del riesame, che però avrebbe respinto allo stesso modo anche il ricorso presentato dai legali di Tancredi lasciandolo agli arresti domiciliari fino a maggio.
NICOLA SCHIAVONE DI CASAL DI PRINCIPE – Ed ecco che scampato il carcere a Bologna a fine giugno è arrivata l’ordinanza del gip Napoli, su richiesta sottoscritta dal procuratore capo partenopeo Giovanni Colangelo. Lo stesso che quando era ancora in servizio nel capoluogo lucano aveva già firmato quella per cui solo ieri è arrivato il blitz della mobile potentina. Gino e Antonio Tancredi sono stati arrestati con l’accusa di concorso esterno nel clan dei Casalesi, truffa, gioco d’azzardo e associazione a delinquere finalizzata a una serie di reati finanziari con l’aggravante mafiosa. Per gli inquirenti i due fratelli potentini avrebbero prestato la loro «condizione di imprenditori nel settore delle scommesse illegali on-line per agevolare l’attività di controllo del gioco d’azzardo nel territorio della provincia di Modena» di Nicola Schiavone, figlio del più noto Francesco alias “Sandokan” e compagnia. Così facendo avrebbero permesso «ai circoli (…) direttamente gestiti dall’associazione mafiosa denominata “clan dei Casalesi”, di esercitare abusivamente il gioco e le scommesse clandestini» tramite alcuni siti internet di base in Romania e di loro proprietà, ottendendo in cambio «la possibilità di controllare consistenti fette di mercato e di godere della copertura, anche economica del clan». Anello di congiunzione tra il giovane Sandokan e le società rumene dei due potentini sarebbe stato ancora una volta Nicola “Rocco” Femia, destinatario di un nuovo ordine di carcerazione a sua volta. Soltanto martedì sera per il più giovane Antonio Tancredi il Riesame ha accolto il ricorso presentato dal suo avvocato Rosanna Agatiello non ravvedendo l’esistenza di gravi indizi di colpa, specie per l’accusa più grave. Per Gino invece la decisione arriverà al termine dell’udienza che è prevista per martedì prossimo.l.amato@luedi.it
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