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Mario Polese

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Il consigliere renziano Mario Polese spiega l’assenza al momento del voto in Consiglio sulla riforma dell’autonomia differenziata di Calderoli


POTENZA – Non era in missione, venerdì, il consigliere regionale renziano, Mario Polese. Grande assente al momento del voto nel parlamentino lucano sulla mozione contro la legge Calderoli sull’autonomia differenziata. Bensì alle prese con «note ragioni familiari di carattere sanitario».

Lo ha reso noto lui stesso, Polese, dopo 36 ore di polemiche scatenate dall’esito dell’ultima seduta dell’assise di via Verrastro prima della pausa estiva. Polemiche montate in Basilicata e arrivate fino a Roma. Dove il “caso lucano”, con una maggioranza regionale di centrodestra allargata ad Azione e Italia viva, viene osservato con sempre maggiore curiosità. Specie dopo il riavvicinamento di renziani e calendiani al “campo progressista” a guida Schlein-Conte. Anche in vista delle prossime elezioni regionali in Liguria, che per qualcuno dalle parti del Pd potrebbe portare a una fine anticipata del secondo mandato presidenziale di Vito Bardi.

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«Sento di fare chiarezza su ricostruzioni anche nazionali non veritiere». Così ieri Polese in un post pubblicato sulla sua bacheca Facebook. Replicando a chi aveva ironizzato sulla giustificazione per la sua assenza fornita venerdì in aula dal presidente del Consiglio regionale, il calendiano Marcello Pittella («è in missione istituzionale»).
«È agli atti – spiega Polese – il mio rientro dagli stati generali dell’energia giovedì. Venerdì non ero quindi in missione ma assente per note ragioni familiari di carattere sanitario. Cosa che avrei preferito tenere riservata».
L’esponente di Italia viva ha anche voluto precisare che, «peraltro», il suo voto sarebbe stato «ininfluente» ai fini dell’approvazione o meno della mozione per obbligare Bardi a impugnare la legge Calderoli innanzi alla Corte costituzionale e ad associarsi alle altre regioni che hanno già chiesto un referendum abrogativo al riguardo. Una replica indiretta agli esponenti del Movimento 5 stelle, su tutti il deputato e coordinatore regionale Arnaldo Lomuti, che nei giorni scorsi avevano lanciato una vera e propria campagna per spingerlo a votare a favore («#mariovotalamozione»).

In apertura di seduta, infatti, i due consiglieri regionali calendiani Pittella e Nicola Morea hanno chiarito che nonostante le critiche espresse pubblicamente alla legge Calderoli non avrebbero appoggiato la mozione della minoranza. Pertanto i voti a favore sarebbero rimasti 8 su 21, 9 se vi fosse stato anche quello di Polese. Due in meno della maggioranza assoluta e comunque uno in meno dei dieci del centrodestra “tradizionale”.
«Firmerò come tanti altri amici di Italia Viva la richiesta di referendum l’8 agosto, nella giornata nazionale di raccolta firme indetta da Matteo Renzi», ha aggiunto ancora Polese. Un annuncio a cui ha replicato, a stretto giro il sindaco di Latronico Fausto De Maria («ritengo molto positiva la notizia che firmerai per il referendum»), dimessosi da presidente di Italia viva Basilicata non più tardi di 5 mesi fa. Proprio in polemica con Polese e quanti tra i renziani lucani hanno deciso di abbracciare la causa del centrodestra alle elezioni regionali.

All’indomani del voto, tra i più critici per il comportamento di Pittella, Morea e Polese c’era stato il segretario regionale della Cgil, Fernando Mega. Mega aveva etichettato i consiglieri regionali ex terzopolisti come degli «irresponsabili». Aveva evidenziato le contraddizioni tra le posizioni assunte sulla legge Calderoli, a livello nazionale, da Azione e Italia Viva e il comportamento degli esponenti lucani. Quindi aveva liquidato l’accaduto come «una pagina tra le più brutte della storia di questa regione. Dalla quale emerge, ancora una volta, quanto le poltrone e gli scranni siano più importanti degli interessi reali dei cittadini e delle cittadine lucane».

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