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Per comprendere meglio la realtà regionale forse può essere utile ricorrere a due famose metafore. La prima affronta il tema della consapevolezza, che viene svolto da David foster Wallace nel 2005 in un discorso pronunciato al Kenyon college che si può sintetizzare nel modo seguente: Ci sono due giovani pesci che nuotano e, a un certo punto, incontrano un pesce anziano, che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: «Salve, ragazzi. Com’è l’acqua?». I due pesci giovani nuotano un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa: «Che cavolo è l’acqua?»

Il succo della storiella dei pesci, chiosa Wallace, è semplicemente che le realtà più ovvie, onnipresenti e importanti sono spesso le più difficili da capire e da discutere. Detta così, sembrerà una banalità bella e buona, ma il fatto è che nelle trincee quotidiane dell’esistenza da adulti le banalità belle e buone possono diventare questione di vita o di morte.

Una metafora che calza perfettamente per la società lucana, dove la maggioranza della opinione pubblica non ha la consapevolezza della gravità del contesto in cui vive e che lo condiziona nelle sue scelte e comportamenti, fatto di una devastante declino demografico e di una geografia socio-economica molto complessa che mette in discussione la stessa identità della Basilicata.

Il contesto riguarda problemi atavici, come la scarsità di popolazione che si pone come grave ostacolo alla ipotetica crescita di popolazione; problemi enormi che il compianto urbanista lucano Paride Caputi ha portato invano all’attenzione della classe dirigente regionale. Due grandi geografi italiani, Lida Viganoni e Luigi Ranieri, hanno in molteplici circostanze, con libri peraltro pubblicati dallo stesso ente regione Basilicata, evidenziato che “una regione come la Basilicata senza città proprio per questo è una non-regione, parlando di “latitanza urbana” (la Viganoni); Ranieri, d’altro canto, fa notare che “ La Basilicata costituisce una regione morfologicamente a sé stante soltanto nella zona centrale, se pur in questa nelle linee generali può vedersi come un poderoso, vasto , interessante contrafforte della Campania e della Calabria.

Ma nel suo insieme è e resta una regione soltanto amministrativa e non geografica”, parlando di confini prevalentemente convenzionali e di associazione di territori. Connettendo i suddetti argomenti non sembra azzardato definire la Basilicata una semplice espressione geografica e una invenzione istituzionale, buona, stando ai risultati fin qui conseguiti, per ridare vigore a residui feudali, qui come altrove, con la nascita delle regioni che hanno rilanciato il vecchio notabilato, incapace di andare oltre se stesso.

La seconda metafora attiene agli aspetti antropologici e sociologici in cui hanno vissuto finora i lucani e si rifà alle due rane che cadono rispettivamente in due pentole piene di acqua di Riccardo Illy. Se una rana cade in una pentola di acqua bollente si salva, perché ne salta fuori con una grande velocità dopo i primi accenni di scottatura, se cade invece nella seconda pentola, piena di acqua tiepida non è consapevole dei possibili rischi che può correre successivamente. Non sa e/o non avverte per tempo che il fuoco alimentato nella seconda pentola piano piano porta la temperatura dell’acqua a livelli micidiali.

Fuor di metafora, la seconda pentola rappresenta un contesto in cui vive una società incapace di reagire alle sopraffazioni delle sue oligarchie, incapace di porsi i temi del necessario cambiamento, di opporsi, per rimanere nella metafora, al fuoco lento ma inesorabile della spesa corrente improduttiva per la crescita, ma molto utile per la sopravvivenza delle oligarchie dominanti, cementate da ferree complicità tra politici e burocrati, in vista della creazione di rispettive rendite di posizione, facendo leva su platee clientelari ed assistenziali, con relativo voto di scambio elettorale.

La dispersione territoriale degli interessi localistici e familistici è funzionale alla conservazione degli equilibri politici esistenti, non fa massa critica e dunque non fa paura a chi governa. Il potere dominate ha tutto l’interesse che nulla cambi. E’ utile la decrescita, la polverizzazione delle risorse, la prevalenza di logiche del campanile, serve una trama urbana debole, servono meno giovani che restino in Basilicata.

In questa realtà è fisiologico paradossalmente che la rana lucana viva costantemente in un passato che non passa mai, molto comodo per coloro che ne beneficiano, ossia per i soliti noti. Anzi il paradosso è ancora più incredibile: più gli oligarchi fanno narrazioni fasulle e più conservano il loro potere, occupando man mano che capita i posti in provincia, poi in regione, poi in Parlamento e talvolta anche nel governo nazionale. Si tratta di politici di professione di weberiana memoria, con emolumenti e spazi di potere enormi che mai avrebbero avuto, esercitando una qualsiasi professione o mestiere privato. I disastrosi risultati della loro azione politica sono di tutta evidenza: per non farla lunga basta rifarsi alle tendenze demografiche devastanti, documentate dalla Svimez che per prima ha parlato di eutanasia della Basilicata.

Che fare? Avanti al contesto storico, geografico e politico accennato in precedenza l’abolizione dell’ente Regione Basilicata sarebbe un atto di stretta logica politica, da attuare all’interno di una riduzione più complessiva delle regioni italiane.
Altre ricette di breve periodo non ne vedo. L’approccio risolutivo va ricercato all’interno di una “questione nazionale” che contiene tutte le concause che impediscono il funzionamento dell’insieme delle istituzioni.

“La sfida appare chiara, sostiene lo storico Filippo Sbrana nel suo libro intitolato “Nord Contro Sud. La grande frattura dell’Italia repubblicana: lavorare ad un grande progetto condiviso per l’unificazione e lo sviluppo dell’Italia. Un obiettivo quanto mai decisivo per il futuro del Mezzogiorno e dell’intero paese”. Altro che autonomia differenziata. Ce ne è fin troppa con la riforma del 2001, che la sinistra ha varato nella illusione di portare la Lega Nord in un alveo politico nazionale e non secessionista. Ripetere oggi tale errore sarebbe delittuoso.

In questo ambito c’è da fare nell’immediato futuro una grande battaglia meridionalista contro la premier Meloni che si sta accingendo a varare una nuova autonomia differenziata, andando contro la sua stessa ideologia di “patriota” e la storia del suo partito di appartenenza, agendo esclusivamente per mantenere il potere per il potere. Alla patriota va ricordato che l’articolo 5 della Costituzione italiana afferma in modo perentorio che “la Repubblica è una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali che nulla hanno a che fare con quelle proposte dalle leghe del nord di stampo chiaramente secessioniste dei vari padani Umberto Bossi, Luca Zaia, Roberto Carderoli, con quest’ultimo che la Meloni ha nominato improvvidamente e paradossalmente ministro per gli affari regionali e le autonomie della Repubblica italiana.

L’urgenza politica oggi riguarda ben altro e cioè la creazione di un Paese coeso, la riduzione del divario economico-territoriale, il varo di misure in linea con la Costituzione italiana e in particolare con la realizzazione finalmente del secondo comma dell’articolo 3 che afferma che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini , impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica , economica e social e del Paese”. E’ un principio che, se attuato, taglierà alla radice il clientelismo, sostituendolo con una funzione educativa finalizzata allo sviluppo della cittadinanza attiva che è la base di un capitalismo sociale, di cui abbiamo estremamente bisogno.

Scuola, università, associazioni culturali nell’ottica di Tocqueville debbono avere il coraggio di affrancarsi dalla politica sempre prodiga di sussidi anche a tali strutture e ritornare ai loro compiti primari in modo totalmente disinteressato.

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