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Vito Bardi e Antonio De Nisi

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POTENZA – Quei discorsi intercettati dell’allora responsabile della sezione di “intelligence” del comando regionale della Guardia di finanza della Basilicata, Paolo D’Apolito, sugli «appostamenti» da fare davanti alle residenze dell’allora candidato governatore Vito Bardi, per ordine di un non meglio precisato «generale», sarebbero stati soltanto «un pour parler».

E’ questa la conclusione a cui sono arrivati i giudici del Tribunale di Potenza che a giugno hanno definito il processo di primo grado a carico dello stesso D’Apolito, e del destinatario di quegli strani discorsi. Vale a dire l’anziano avvocato civilista potentino Raffaele De Bonis Cristalli, «amico» del candidato contrapposto a Bardi dal centrosinistra, Carlo Trerotola, come pure dell’allora governatore uscente, Marcello Pittella, tra i principali sostenitori dello stesso Trerotola.

Il collegio presieduto da Valentina Rossi, e completato da Chiara Maglio e Angela Cristofaro, ha accolto la richiesta di assoluzione di D’Apolito e De Bonis formulata dal pm Giuseppe Borriello al termine del dibattimento sull’iniziale contestazione di una «rivelazione di informazioni destinate a rimanere segrete e riservate sul conto di Vito Bardi» da parte di D’Apolito. Una contestazione persino sorprendente, per certi aspetti, se si considera la storia personale dell’attuale governatore, in servizio per una vita come ufficiale nella Guardia di finanza fino alla promozione a comandante generale in seconda di tutto il corpo.

«L’istruttoria espletata – si legge nelle motivazioni della sentenza emessa a giugno – non ha fornito adeguato supporto a riscontro delle predette intercettazioni, con la ovvia conseguenza che le predette conversazioni debbano intendersi quale mero “pour parle” tra i due imputati, a seguito del quale De Bonis, peraltro, non manifestava alcun interesse».

In aula, infatti, sono stati sentiti gli investigatori che si sono occupati delle indagini sul presunto sistema di «collusioni fra pubbliche amministrazioni, professionisti e imprenditori», che sarebbe ruotato attorno all’anziano civilista potentino. Ma hanno escluso di aver trovato riscontri a questa presunta attività di dossieraggio in altre intercettazioni, e di aver effettuato accertamenti sul tema.

E’ stato sentito Trerotola, che ha dichiarato che dichiarava che «nel corso della campagna elettorale aveva sentito e visto solo una volta De Bonis, che gli faceva gli auguri», e di «non aver mai chiesto né ottenuto da D’Apolito, che conosceva, informazioni sulle abitudini di vita di Bardi».

Inoltre sono stati sentiti anche un collega di D’Apolito in servizio nell’ufficio “I” del comando regionale che ha sostenuto «che il suo ufficio (…) non aveva mai svolto accertamenti su Bardi», e l’allora comandante regionale delle Fiamme gialle, Antonio De Nisi, «che escludeva che fossero state condotte indagini sul conto di Bardi».

Il collegio del Tribunale di Potenza ha comunque condannato l’anziano legale potentino a 3 anni di reclusione e l’amico maresciallo a 3 anni, 5 mesi e 10 giorni per corruzione e rivelazione di segreto d’ufficio e accesso abusivo alla banca dati riservata delle Fiamme gialle.

Nei prossimi giorni, quindi, i difensori di entrambi dovrebbero formalizzare i ricorsi in Corte d’appello, dove il processo potrebbe approdare, in aula, entro l’anno prossimo.

Le residue contestazioni ruotano attorno, in particolare, alle informazioni raccolte da D’Apolito e trasmesse a De Bonis sulla situazione patrimoniale della figlia del legale. Il tutto in cambio di 10mila euro che l’avvocato avrebbe consegnato al finanziere.
Alla base della richiesta di queste informazioni da parte dell’anziano avvocato vi sarebbe stata la preoccupazione «per la parsimonia della figlia per spese di natura personale e per l’eccessiva generosità in opere benefiche».

«In virtù delle due dazioni di denaro» ricevute, invece, i giudici si sono convinti che D’Apolito acconsentito allo «stabile asservimento della propria funzione agli interessi privatistici di De Bonis, su istigazione del medesimo».

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