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POTENZA – No allo sconto sulle royalty per il gas estratto da Eni tra il 2015 e il 2016 dai giacimenti della Basilicata e delle altre regioni italiane in cui sono attivi impianti di produzione di idrocarburi. E’ quanto deciso dal Consiglio di stato respingendo il ricorso presentato dai legali del cane a sei zampe per l’annullamento dei decreti ministeriali con cui a marzo del 2016 e a maggio del 2017 erano state calcolate le royalty per il gas naturale prodotto nei due anni precedenti, per un ammontare complessivo di una ventina di milioni di euro soltanto per la Regione Basilicata e i comuni della concessione Val d’Agri.

Eni aveva chiesto, in particolare, che fosse dichiarato incostituzionale, quindi disapplicato, il criterio di calcolo all’epoca in vigore, basato sul cosiddetto “indice QE”, che sta per “quota energetica del costo della materia prima gas”, ed è agganciato «alle quotazioni medie del petrolio e di altri combustibili sui mercati internazionali». Indice che ad avviso della compagnia si sarebbe dovuto sostituire, in maniera retroattiva, con quello adottato dopo il 2020, il cosiddetto Pfor, che è agganciato alle quotazioni del gas sul «mercato a breve termine» del punto di ingresso olandese nella rete dell’Europa continentale denominato “Tts”.

Di diverso avviso il Consiglio di Stato, che ha ribadito quanto già espresso in una sua sentenza del 2018 sulle royalty del 2014, confermando la legittimità della scelta dell’indice Qe per «esigenze di stabilità degli introiti in favore dell’erario», ed escludendo «ogni possibile rilevanza patologica addebitabile alla non esatta equivalenza» tra il corrispettivo pecuniario da versare a titolo di royalty e l’incasso effettivo per la cessione sul mercato della quota del 10% del gas estratto, che la legge riserva allo Stato e ai territori dove insistono gli impianti di produzione.

«Nemmeno può residuare – prosegue il Consiglio di Stato – la possibile fondatezza delle deduzioni sollevate con riferimento alla maggiore onerosità del criterio Qe. Premesso che, come documentato da parte appellata, il criterio Pfor ha prodotto per l’anno 2021 un coefficiente economico più elevato rispetto a quello derivante dall’indice Qe, ciò che rileva è che nemmeno il primo è in grado di assicurare la piena corrispondenza con il valore di mercato del gas lasciandosi quindi preferire soltanto per una almeno tendenziale maggiore convenienza economica per gli operatori di settore che, di certo, non può costituire indice di una possibile distonia rispetto ai valori costituzionali evidenziati in ricorso». I giudici di Palazzo Spada hanno bocciato una seconda questione di costituzionalità sollevata in relazione al diverso sistema di calcolo utilizzato per le royalty del gas, secondo gli indici summenzionati, e quelle del petrolio, di cui «si tiene conto degli importi “fatturati nell’anno di riferimento” e quindi dei prezzi di vendita ottenuti». Stesso discorso per un terzo motivo di ricorso che denunciava la sostanziale trasformazione delle royalty in una «prestazione imposta» ben al di là «dei rischi professionali che ogni operatore economico deve assumere».

Per il Consiglio di Stato, infatti, «la previsione del pagamento delle royalties non concreta alcuna ablazione di proprietà privata, ma semplicemente un costo per usufruire di beni pubblici a scopo di lucro», dunque non potrebbe essere considerato quale «un onere fiscale sproporzionato se non arbitrario, tale da ledere il diritto di proprietà» delle compagnie.

Il ricorso di Eni era stato notificato a governo, Regione Basilicata, e i 6 comuni lucani beneficiari di royalty dirette per le estrazioni di Eni in Val d’Agri (di Viggiano, Montemurro, Grumento Nova, Marsico Nuovo, Marsicovetere, Calvello), più Assomineraria, le regioni Emilia Romagna, Calabria, Molise, Puglia, Abruzzo, Piemonte, Sicilia e i comuni di Ravenna, Alberona, Ascoli Satriano, Biccari, Candela, Deliceto, Sant’Agata di Puglia, Trecate, Romentino, Volturino, Galliate e Rotello.

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