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LE urne sono chiuse, menomale, perché del fervore di certi improbabili aspiranti politici non ne potevamo più. La democrazia è questa, ha anche il contro effetto di offrire un quarto d’ora di visibilità a mezzecalzette con la patologia di protagonismo da passerella. Peccato, e dispiace dirlo, ma sono stati più i momenti di avanspettacolo che quelli di confronto.

Idee nuove non se ne sono viste, più invisibili del coronavirus. In compenso, sui social, sui palchi, sui display delle nuove piazze virtuali, si sono sentiti insulti e offese a giornalisti che neanche nelle peggiori bettole, al centesimo bicchiere di Aglianico, capita di ascoltare. Un nostro bravo cronista è stato poi messo alla gogna con toni diffamatori proprio in chiusura della campagna elettorale. L’adrenalina della preferenza ha portato anche persone che dovrebbero conoscere le leggi, ad andare oltre fino a scadere in accuse maligne, prive di fatto. Livore, solo livore. Forse qualcuno è rimasto ai Vaffa Day, convinto che più si insultano i giornali e più si prendono voti.

Un modello che ormai attraversa tutti i partiti, anche le liste poco civiche. Ma su questo ne riparleremo più in là, nelle aule di tribunale. Ai lettori-elettori due parole superflue, per chi ha seguito il Quotidiano del Sud in quest’ultimo mese, ma necessarie per rimettere le i degli insulti al posto giusto.

Gli errori, le inesattezze, le sbadataggini dei giornali sono rimediabili da parte degli interessati con precisazioni e iniziative previste dalle leggi. Il fatto che in queste settimane non sia arrivata al giornale neanche una riga di segnalazione per qualche svarione, dimostra che è stato fatto un lavoro corretto e professionale. E gli insulti? Quelli hanno una spiegazione semplice semplice e attiene a quello che ciascuno di noi si porta dentro. Se uno ha idee, programmi, progetti non fa fatica a interloquire, a scrivere, a spiegare, a correggere. Se poi uno non ha niente, l’unico modo è la rissa, l’offesa, l’insinuazione. Ognuno ci mette quello che ha. Su un palco, sui social, davanti a una tastiera è facile mettere insieme l’armamentario pecoreccio, colpire alle spalle, far passare tutto per il contrario di tutto. Un modo vigliacco di far valere le proprie ragioni, ammesso che ci siano. Agli insulti e alle offese ci arrivano anche i bambini maleducati.

Articolare un pensiero, spiegare un punto di vista, un concetto, sono cose più complicate. Se uno non pretende una smentita o una precisazione da un giornale, vuole dire che non ha argomenti. Resta solo la volgarità, vigliacca anche, perché l’obiettivo della tiritera non è manco presente. La cultura del branco. Con gli sfoghi, la bile, le offese non si amministra neanche un condominio. Ci vogliono idee e programmi. Ma per i primi basta una lingua avvelenata, per i secondi si richiede un cervello, difficile da scaricare dalla lista delle app.

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