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ROMA – Dopo la sentenza di condanna emessa il 28 gennaio scorso dalla Corte di giustizia europea sul ritardo dei pagamenti della Pubblica amministrazione l’Italia potrebbe essere chiamata a pagare una maximulta da 2 miliardi di euro. A porsi la questione è la Cgia di Mestre che ricorda la sanzione ricevuta per le quote latte. Una punizione che potrebbe essere evitata se lo Stato mettesse fine in tempi rapidi a questa cattiva abitudine ma, vista la performance del 2019, non prevale l’ottimismo.

«Sebbene la situazione negli ultimi anni sia migliorata, in particolar modo a seguito dell’introduzione della fatturazione elettronica, i ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali con la Pa costituiscono ancora adesso un malcostume molto diffuso nel nostro Paese. Pertanto, non sarà per nulla scontato sottrarsi ad una sanzione economica da parte dell’Europa», avverte Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi.

Ad essere in difficoltà e soprattutto il Sud. «La nostra Pa – in particolar modo nel Mezzogiorno – continua a pagare con ritardi del tutto ingiustificati», dichiara il segretario della Cgia, Renato Mason. «Questa situazione, associandosi al perdurare della contrazione degli impieghi bancari nei confronti delle aziende, ha peggiorato la tenuta finanziaria di moltissime piccole realtà produttive che tradizionalmente sono sottocapitalizzate e a corto di liquidità», sottolinea ancora.

Se la direttiva Ue impone, nelle transazioni commerciali tra Pa e imprese private, termini di pagamento non superiori a 30 o 60 giorni (in quest’ultimo caso solo per il settore sanitario), l’anno scorso il comune di Napoli ha liquidato i propri fornitori con 395 giorni medi di ritardo. Male anche il Comune di Reggio Calabria con 146 giorni e la Regione Basilicata con 103. Per i pagamenti dal Comune di Roma, invece, i giorni da attendere sono 63. Ritardi che, purtroppo, difficilmente potranno essere riportati celermente al di sotto dei limiti previsti dalla normativa.

Secondo la Cgia principali causa di questa “cattiva abitudine tipicamente italiana” sono la mancanza di liquidità da parte del committente pubblico, i ritardi intenzionali, l’inefficienza di molte amministrazioni a emettere in tempi ragionevolmente brevi i certificati di pagamento e le contestazioni che allungano la liquidazione delle fatture. Infine la Cgia fa notare il «dato più assurdo della vicenda», ovvero che «nessuno è in grado di affermare a quanto ammonta esattamente il debito commerciale della nostra Pa», nonostante le imprese che lavorano per quest’ultima abbiano da parecchi anni l’obbligo di emettere la fattura elettronica.

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