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NON so se sono finiti gli anni Settanta, come scrive Mario Calabresi sulla Stampa. C’è stata una generazione (la mia, per esempio) che in realtà quegli anni non li ha mai vissuti pur avendone colto il profumo ed ereditato i benefici. Ed è la generazione degli anni Ottanta, quella che non hai mai portato la kephia ma neppure apprezza la versione Fonzie reindossata da Renzi da Maria De Filippi.
E’ la generazione dei disorientati, dei senza certezze. Quella nata che l’Italia era già piena di problemi. Il segretario del maggior partito del più bel Paese del mondo, come Matteo Renzi si è autodefinito, va al galoppo del futuro con il suo stile di un decennio più tardi, i suoi simboli e i suoi modelli.
Donne e giovani sono il politicamente corretto di oggi (a proposito ma di Marianna Madia, sarà colpa mia, ma non ricordo molto oltre ai passaggi da Veltroni a D’Alema, un’amicizia con il figlio di Napolitano e l’assenza in parlamento al voto sullo scudo fiscale). Ma ha ragione il nuovo segretario Pd quando dice che la sinistra era diventata una cosa un po’ noiosa. Tempi lunghi, temi mondiali che non toccavano il cuore di tutti gli italiani.
Questa sinistra alla quale oggi nessuno più tributa una funzione è colpevole di non aver capito che i modelli sociali e le sue tutele non erano più adeguati al mercato, al contesto mutato. Per certi aspetti è vero. La difesa dell’articolo 18 a tutti i costi, ad esempio.
In un’epoca in cui nessun neo assunto che si aggira attorno ai trent’anni ha mai conosciuto un contratto a tempo indeterminato, ostinarsi a difendere una fetta di lavoratori senza pensare a come farne entrare altri è stato un pensare zoppo. Eppure ricordo le parole di Bersani quando ripeteva: prima di difendere i posti di lavoro, creiamoli. Ma la ragione è sempre dalla parte dei vincitori. Sul podio, dunque, Renzi parla dei figli, dei maestri dei suoi figli, si esprime in fiorentino, crea empatia, forse si affretta un po’ troppo a dare l’idea del pragmatico convocando riunioni alle sette del mattino.
Ma i nodi che la sinistra non è stata più in grado di risolvere non hanno età, nè cambiano con il tempo. C’è da dare futuro all’Italia, ma senza cinismo. Potremmo sciogliere i sindacati, ad esempio, ma tutelare i diritti di chi lavora rimane un imperativo.
Insomma sarà vecchia, sarà nuova ma la sinistra non potrà non ricordarsi che l’obiettivo è quello di costruire una società di eguali dando opportunità a tutti. Renzi va veloce come una pallina da flipper. Non ha spocchia intellettuale. Ha fiuto, e questo vale più di un master. Ma no so se conosce il Mezzogiorno. Il Mezzogiorno, però, si è affidato a lui con generosità.
Anche quel sud un po’ snob che, con orgoglio, non parla fiorentino e neppure milanese. Apprezziamo che Francesco Nicodemo, il nuovo reponsabile della comunicazione, ci ricordi che il miglior negroni di Napoli si beve al Guyot in via Morghen. Ha linguaggio da blogger anche se si è imposto, nella sua nuova veste, meno tweet e più zen.
Ma il Sud non è solo peperoni cruschi e mandolini, così come non è neppure solo mafia. Renzi ha delegato la deputata campana di area franceschiniana Pina Picerno (laurea sul linguaggio di Ciriaco de Mita) ai problemi del Mezzogiorno, unendo la delega a quella sulla legalità.
Identificando dunque, forse inconsciamente, il Mezzogiorno con un problema di legalità. Insomma il Sud è affare nostro.
Ho più di qualche dubbio sul segretario fiorentino. Una specie di disagio che non riesco a definire. E il disagio mi cresce se ricordo i nomi dei “meridionali di sinistra” che si sono occupati del Mezzogiorno, Mario Alicata, Pietro Ingrao, Abdon Alinovi, Gerardo Chiaromonte, Pio La Torre, Giorgio Amendola, Giorgio Napolitano. Sarebbe stupido fare un confronto. Ma io sono una meridonale e osservo Renzi da quaggiù. Ricostruisco che il presidente della Basilicata, Marcello Pittella, è il primo nuovo governatore renziano. Se il ruolo di Renzi sarà quello di suonare la campana al governo, chiediamo a Pittella di mobilitare un’intera orchestra per ricordare a Renzi che il Mezzogiorno esiste. E forse merita qualcosa in più.
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