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POTENZA – La vicenda della privatizzazione, o meglio delal dismissione del 3% delle azioni di Eni non ha destato molta curiosità in Basilicata. Tutto questo mentre a livello nazionale, da Renzi a Sel, cominciano ad uscire le prime perplessità su una “svendita” che di fatto porterebbe a due cose concrete. Aumento, come spesso dimostrato, dei costi e progressivo smantellamento di parti della società, che si traduce molto spesso con licenziamento. ma più  che questo bisognerebbe ritornare sulla questione Basilicata, regione dove l’Eni raccoglie grosse quantità di greggio e quindi di denaro. Denaro che, a detta di tutti durante la campagna elettorale, non viene equamente distribuito sul territorio lucano, con percentuali troppo basse. 

Durante la corsa alle regionali abbiamo assistito anche a discorsi importanti: riaprire un dialogo con lo Stato per la gestione degli idrocarburi, aumentare le royalties e fare in modo che la Basilicata possa diventare protagonista nella gestione dei territori, senza consegnarlo alle multinazionali minerarie. Statalizzare, quindi, la gestione dei giacimenti e quindi pretendere molto di più da quanto viene prosciugato nella pancia della regione. 

La situazione dell’Eni in questo momento, nonostante per la dismissione i tempi previsti sono molto lunghi, c’è chi ha avanzato l’ipotesi più complessa. Perché non acquisire quel 3% come Regione e quindi avere maggiore controllo su quanto si estrae?

L’idea di per sé sembra non tenere conto del problema numero uno: questa operazione, insieme all’intero piano di privatizzazioni dei “gioielli di famiglia” serve per recuperare miliardi (10 o 12 in totale, due dei quali dalla vendita delle azioni Eni a privati) e quindi tenere a bada l’Unione Europea, sempre più preoccupata per il nostro debito pubblico. In mezzo a questo c’è il patto di stabilità, che congelerà di fatto l’economia italiana. In più, sempre per restare in tema, si pensa, proprio per coprire i costi dell’Imu abolita, di aumentare ulteriormente le accise sulla benzina. Questo confermerebbe già un primo dato, gli aumenti sono previsti anche nei luoghi dove l’oro nero si estrae e si raffina. Dunque questa operazione dovrebbe costare due miliardi da incassare, anche se la vendita prevede prima l’acquisto di azioni proprie per sei miliardi. Il gioco economico, a fronte di questo, non sembra essere molto chiaro. 

L’unica certezza è che bisogna fare contenta Bruxelles. Questo come può interessare la Basilicata? La Regione di certo non potrà sborsare due miliardi per coprire l’acquisto di azioni, né tanto meno potrebbe accontentarsi di una percentuale irrisoria, simbolica. Per questo il progetto di partecipazione regionale è destinato a naufragare senza troppo rumore. Intanto a livello nazionale il presidente del Copasir lancia il suo monito: «Intendiamo vigilare perchè queste privatizzazioni non creino problematiche di sicurezza in aziende centrali per il futuro dell’Italia, come quella guidata dall’amministratore delegato Paolo Scaroni».

«L’Eni – ha spiegato Stucchi – è protagonista su scenari mondiali molto delicati, oltre a rappresentare un elemento importante per il nostro approvvigionamento energetico e la competitività delle nostre imprese. Il nostro giudizio è sospeso per il momento: aspettiamo di sapere con certezza se e quali cessioni di quote saranno destinate alla Cassa depositi e prestiti e quali andranno direttamente sul mercato e in quale misura. Meglio attendere – prosegue Stucchi – perchè la Legge di Stabilità lo dimostra: a volte il provvedimento entra in Parlamento in un modo e viene stravolto completamente dal dibattito politico. Aspettiamo di vedere se gli intendimenti annunciati dovessero verificarsi nel momento in cui si procederà alla conversione in legge. In quel momento credo che il Copasir dovrà far sentire la propria voce».

v.panettieri@luedi.it 

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