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Si sono appena chiuse le urne per le elezioni regionali in Basilicata e, al momento, ancora non si conosce chi sarà il Presidente della Giunta e quale la composizione del Consiglio Regionale. Tra qualche ora, tutte le analisi si concentreranno sui rapporti di forza tra i diversi partiti e – c’è da scommetterci – sulla composizione della prossima giunta.
Un dato su tutti, però, è chiaro fin da subito: l’affluenza alle urne è stata bassissima, con una flessione rilevante rispetto al recente passato. 

A prescindere da quali saranno i dati definitivi, si tratta di un segnale chiarissimo con il quale dovranno confrontarsi vincitori e vinti della consultazione elettorale. 

Tuttavia, dopo gli scandali e le polemiche che hanno accompagnato la fine prematura della consiliatura regionale, si tratta di un fenomeno che non può stupire nessuno: al contrario, era un dato ampiamente prevedibile (ed effettivamente previsto da molti) oltre che in piena aderenza alla tendenza nazionale (già alle politiche del febbraio 2013 il primo partito è stato quello dell’astensione, con oltre 11 milioni di  persone che decisero di non prendere parte alla consultazione elettorale).

A mio avviso, però, la circostanza che merita attenzione è un’altra: hanno fallito tutti i tentativi che alcune delle forze politiche hanno posto in essere con l’obiettivo di riannodare un qualche tipo di rapporto con i cittadini. 

Non basta più inserire nelle liste rappresentanti della c.d. “società civile”.Non basta più realizzare siti web o essere presenti sui social network, specialmente se non vengono utilizzati per stabilire un vero dialogo con gli elettori ma rimangono uno strumento per diffondere proclami e comunicati stampa.Non basta più promettere trasparenza, se poi non si fornisce nemmeno quella relativa alle spese della campagna elettorale. Non basta più scegliere il candidato presidente con “primarie di coalizione”, se poi liste e programmi continuano ad essere scritti nelle segrete stanze.

Non basta più nemmeno la retorica del partito liquido in cui “uno vale uno” e tutti possono costruire via web un programma, se poi il lider maximo può sconfessarlo in qualsiasi momento.

La crisi della democrazia rappresentativa che stanno sperimentando tutte le assemblee elettive in giro per il mondo non risparmia neanche le assemblee regionali, e non bastano episodici tentativi di stimolare la partecipazione, se manca un disegno complessivo in grado di rappresentare una vera e propria rivoluzione copernicana nel modo di gestire la cosa pubblica.

È sotto gli occhi di tutti che il meccanismo della delega assoluta (al Presidente e al consigliere) non funziona più: la partecipazione dei cittadini non può più essere circoscritta nei confini – ormai angusti – del diritto di voto, al di fuori del quale negare alle persone ogni forma di interazione e controllo sull’operato degli eletti e sull’utilizzo delle risorse pubbliche.

Nell’era dell’Open Government, la crisi di credibilità e partecipazione si supera con la transizione dalla “democrazia rappresentativa” a quella “collaborativa”: un modello in cui i governanti forniscono tutte le informazioni (trasparenza) ed utilizzano forme continue e strutturate di ascolto e consultazione di cittadini e imprese (partecipazione).

Si tratta di un paradigma diverso rispetto alla “democrazia diretta”, in cui i politici non hanno più senso se non quello di essere facilitatori di un perpetuo televoto (“volete la discarica?”, “eliminiamo i vitalizi?”).

Quella della democrazia collaborativa è la vera rivoluzione necessaria e possibile: non più un’amministrazione paternalista che sa quello che è meglio per i cittadini, ma governanti che utilizzano la saggezza e le competenze diffuse sul territorio per prendere sempre le decisioni migliori.

Si tratta di un passaggio difficile: gli amministratori devono mettersi in gioco e dimostrare di essere davvero aperti al confronto, mentre i cittadini devono uscire dall’auto-consolatorio (ed auto-assolutorio) mantra per cui “sono tutti uguali” e sforzarsi di dare un contributo che non sia solo quello della critica distruttiva.

È questa la sfida che attende chi – da domani mattina – sarà chiamato alla prova del governo della Regione Basilicata. Altrimenti, nessuna vera rivoluzione sarà possibile.

Come sosteneva Albert Einstein, infatti, “non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose”.

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