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SE andiamo a vedere nella storia del Pci e della Dc di segretari di partito che venivano dal Mezzogiorno ce ne sono stati davvero pochi. Tra i comunisti, in realtà, se si esclude la storia a parte di Gramsci e Berlinguer, nessuno. Un po’ di più nella Dc e i suoi derivati, il siciliano Gonella, il pugliese Moro, l’avellinese De Mita e poi Gerardo Bianco, Franco Marini e la breve reggenza della Jervolino.
Le candidature alla segreteria prossima del Pd esprimono oggi, su quattro nomi, uno solo che marcia dal Sud, un lucano, Gianni Pittella. Lo sottolinea lui, con orgoglio, più volte in questa lungo tour elettorale che lo porta in giro per l’Italia in una corsa a tappe accelerate, ancor più di quella che abitualmente fa quando è “a riposo”.
Si fa per dire “a riposo” perché, se dovessi dire qual è il tratto caratteristico di questo politico che ha la testa a Bruxelles e i piedi permanentemente in giro per i comuni del suo bacino elettorale, direi che è capacità di trovarsi sempre al momento giusto nel posto giusto, magari dieci minuti, ma in genere non si risparmia. Non parliamo poi delle sue piazze virtuali: provate a mandargli un sms mentre sta a Strasburgo. Ma ora è tempo di piazze fisiche, come ha detto l’altro giorno all’Unità. “Il territorio è la mia forza”. Ma ha senso contestualizzare la candidatura di Pittella (parliamo di Gianni, e per la prima volta bisogna specificarlo) nel contesto di una coordinata di valori ispirati (anche) ai problemi del Sud?
Se vale ancora il principio di un mezzogiorno che non può essere solo a carico del mezzogiorno, l’oggi ci dice che di esso si fa più carico l’Europa che non Roma. Le traiettorie dei flussi degli aiuti economici, del resto, passano da lì. Ma Pittella sa bene, egli che è già Pittella, che partecipare alla campagna per la segreteria nazionale del Pd può solo giovargli. Intanto dovrà superare la prima selezione, da quattro a tre (regole da ospedale psichiatrico, dice) e astutamente lancia un appello (evidentemente agli elettori del candidato più forte, Renzi): al primo turno votate per me. La sicurezza del candidato ce l’ha tutta, lancia due punti saldi sui diritti civili senza tentennamenti: matrimonio e adozione per le coppie gay. E ha chi gli fa notare: e la Chiesa? Facile la risposta d’autonomia del laico.
Per il Sud ha idee chiare: (per esempio zone free, cioè con facilitazioni amministrative e fiscali e salario di cittadinanza), sulla Basilicata ritornata nell’obiettivo 1 non si consola con la prospettiva che ci saranno più soldi (“era meglio farne a meno, ma è una questione di Pil, un problema che ritarda tutta l’Italia”, manda a dire alla signora Merkel). Ma l’asse del ragionamento, anche ieri all’incontro di Potenza, si sposta sulla funzione che dovrà avere Pd: unito innanzitutto, senza la sciagura delle correnti ma con aree culturali di riferimento, mai più larghe intese (che non significa togliere adesso la spina al governo Letta), ruolo deciso nel rivendicare dall’Europa una nuova politica di spesa perché l’oggi dell’Italia è drammaticamente depresso. E
ra solo, ieri mattina, Gianni Pittella nella sede del Pd. Non so se è prassi, ma nessuno del partito lo accompagnava. Nel quartier generale democratico Renzi e Cuperlo non sono messi male. Pittella è Pittella, a parte. Guai a stuzzicarlo su questioni locali, anche se poi, inevitabilmente sollecitato sulle espulsioni temporanee del Pd a Matera di questi giorni di campagna elettorale lucana, non delude: “Una cosa davvero infantile” – dice – “Mica chi è candidato nella lista del presidente si è candidato contro il Pd”.Stop.
Il problema dello scandalo delle tessere – dice – per fortuna non tocca la Basilicata. Il nome del fratello lo pronuncia una sola volta, quando, elogiando a lungo Lacorazza, aggiunge: naturalmente ho votato Marcello. Questo concede alla politica lucana. Ha l’Italia davanti. Ci crede. “Dimostrerò che i voti non si prendono né con uno slogan né con twitter”.
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