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POTENZA – Il diavolo ci avrà messo pure lo zampino, ma nel giallo del documento mancante tra gli allegati della lista del presidente Pittella, sarebbe un errore di superficialità prendersela solamente con il caso e l’inesperienza. Lasciando da parte ricostruzioni più fantasiose che troverebbero facile ispirazione in una classiche spy story in cui gli avversari – e, in questo caso, non solo quelli esterni, ma soprattutto quelli interni allo stesso Pd – avrebbero volontariamente manomesso la discussa lista di Pittella, ci sono fatti oggettivi che hanno contribuito al pasticciaccio.
Quella ricusata era la lista da novanta. Quella che per settimane ha messo contro Pittella e partito. Una lista aggiunta a quella di partito in cui sono stati inseriti anche i nomi che altrimenti non sarebbero stati candidabili come uomini del Pd. L’unica porticina comunicante tra la linea intransigente chiesta dal partito per evitare “strane alleanze” e l’apertura che invece avrebbe voluto Pittella. Avrebbe dovuto far viaggiare il consenso parallelo a quello marchiato Pd. E non è caso che sia stata l’ultima a essere chiusa, solo ieri mattina. Consegnata agli uffici della Corte d’Appello solo un attimo prima che scadessero i termini a Mezzogiorno.
Anche se dal comitato di Pittella assicurano che la lista fosse corredata di tutti i documenti necessari, che a questo punto si sarebbero persi solo in Tribunale, è stata quella più difficile da chiudere. Non che non ci fossero papabili candidati da inserire. Anzi. Il problema è stato esattamente l’opposto. E le continue “manovre” nell’elenco degli uomini del presidente, che sono andate avanti fino all’ultimo per cercare di piazzare la persona “giusta” al posto “giusto” alla fine avrebbe provocato il pasticcio.
Si dice che il diavolo faccia i coperchi ma non i manici. E ora c’è chi è pronto a giurare che sia trattato proprio di questo: la continua manomissione dell’elenco dei candidati la causa di tutto. Pare che nelle ultime ore la lista sarebbe rimasta blindata, nella sola disponibilità degli uomini del presidente Pittella, che avrebbero rifiutato anche gli aiuti offerta dal partito, per condurre le ultime operazioni a sorpresa, all’insaputa degli stessi candidati. Metti questo e togli quello: così è andata per esempio per l’avvocato Carlo Glinni, ex Italia Futura, che fino a venerdì aveva ottenuto garanzie sulla sua candidatura.
Ma nella notte tra venerdì e sabato gli “squali” sono stati al lavoro. E così al posto del suo nome è spuntato quello del figlio di Pasquale Robortella. Il consigliere uscente che non si è potuto candidare personalmente per via di quella discontinuità imposta dal partito ha pensato bene di mandare avanti il figlio, Vincenzo. Ma la “new entry” avrebbe mandato su tutte le furie il primo cittadino di Sant’Arcangelo, Domenico Esposito e anche il segretario regionale, Vito De Filippo. Entrambi vanno a pescare voti nella stessa area, quella della Val d’Agri, con il rischio che il secondo depotenzi il primo.
E sono spuntati sempre all’ultimo momento anche i nomi dell’ex sindaco socialista di Lavello, Antonio Annale, Carmine Caivano, del primo cittadino di Senise e di Giuseppe Castronuovo. Una cosa è certa: il danno, in termini elettorali, è grandissimo. Sono ben sei gli amministratori – Tito, Senise, Sant’Arcangelo, Lavello, Balvano e San martino d’Agri – (tra attuali ed ex) che essendo fuori dalla campagna elettorale non potranno portare i loro voti al candidato presidente, Marcello Pittella.
m.labanca@luedi.it
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