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«DOBBIAMO lavorare, dobbiamo evitare quella psicolabilità delle nostre azioni. Noi siamo psicolabili, quindi oggi di qua, domani di là. E’ un po’ triste. Dobbiamo ancorarci a una cultura comune, anche sociale, ideologica”.
Così Gianni Brera nel 1985 rispondeva alla domanda di Piero V. Scorti: “Che dobbiamo fare noi popolo italiano, noi italiani, per andare avanti, per migliorare?”.
Dopo aver finito di leggere la vecchia intervista, come ogni mattina ho compiuto un viaggio attraverso internet nel mondo dell’informazione e sul Quotidiano mi ha molto colpito l’editoriale di Lucia Serino con l’articolata analisi della situazione politica lucana e un interrogativo- proposta: “Ci vorrebbe un Napolitano lucano. Qualcuno che faccia capire che Ilio brucia, che spieghi l’insensatezza dell’alba prima della battaglia. Ma dove lo troviamo?”.
Non solo la Basilicata ma tantissime altre regioni italiane avrebbero bisogno di una guida assennata, mentre purtroppo si continuano a registrare dissennati episodi di “malapoltica”. Basta guardare la vicina Calabria, sempre più in basso, in coda a tutte le graduatorie. Bisogna essere realisti. E Lucia Serino è stata molto chiara. Le beghe e le liti continue non promettono nulla di buono. Occorre limpidezza. In una piccola regione, tutti conoscono tutto. Barare è impossibile senza essere scoperti.
Le idee ed i progetti devono essere al primo posto. Le poltrone vengono dopo. Se questa elementare logica politica non viene rispettata si finisce per scadere in situazioni veramente imbarazzanti, alla Cetto La Qualunque, tanto per essere chiari. E necessariamente un po’ brutali. La conquista del consenso popolare deve avvenire nella massima trasparenza, senza alcun pasticcio. La Basilicata ha bisogno di una classe politica che guardi realisticamente ai problemi e non egoisticamente agli interessi di parte. Il bene comune deve prevalere sull’interesse personale. E per questo riteniamo che sia opportuno proporre un altro passo dell’intervista di Brera su furbi e trasformisti. Argomento di estrema attualità nel nostro Paese in queste convulse giornate politiche dominate dal “caso Berlusconi”.
Il grande giornalista sportivo con la schiettezza che l’ha sempre contraddistinto, ammetteva: «Io ho fatto scienze politiche, ma un’idea realistica dell’Italia non l’avevo. Degli arcadi e degli analfabeti l’ho saputo più tardi. Da un inglese poi ho saputo che i governi italiani duravano, da quando c’era l’unità, in media sei mesi. Un segno di vigliaccheria assoluta, tipica, disinvolta di gente che si faceva eleggere e poi si faceva i cavoli “suoi”. Promettevano riforme che poi non facevano. Quando cercarono di attuarle, sotto la spinta dell’opinione pubblica, c’erano prima i trasformisti e adesso i franchi tiratori. Per cui saltava il governo e non si facevano le riforme promesse. Questo è andato avanti 100 anni. Naturalmente non è che puoi chiudere tutto alla speranza. No, anzi. Io penso che un uomo politico sia onesto quando è vicino al vero, compatibilmente con il momento, diciamo così, dell’astuzia diplomatica».
Lasciare aperta la porta alla speranza. L’editoriale di Lucia Serino secondo noi mira anche a questo. Fermarsi e riflettere. Fare proposte. Costruire nella legalità. Sempre. C’è una forte preoccupazione per la brutta piega che hanno preso le liti tra i partiti e al loro interno. Resa dei conti durissima. Senza esclusione di colpi. Confusione che potrebbe portare al caos, all’aggravarsi del confitto, all’insegna del tutti contro tutti. Ecco perché Lucia Serino ha auspicato un Napolitano per la Basilicata. Serve, eccome. Autorevolezza e moderazione. Trovare punti d’incontro. Su temi di grandissima importanza come il rilancio dell’occupazione, la questione della difesa del territorio, contro tutti i tentativi di nuove e scellerate trivellazioni. Ridare slancio al turismo, fonte economica di notevole portata.
La ventata di ottimismo che “Lucana Film Commission “ è riuscita a portare con la positiva attività di promozione del territorio e la presenza molto apprezzata al Festival del Cinema di Venezia, è una apertura alla speranza. La conferma che quando si opera con competenza ed intelligenza, i ritardi si possono recuperare. L’ultima nata non è in coda!
Essere compatti nel sostenere le iniziative che possono attrarre nuovi investimenti in settori strategici, come ad esempio il turismo e la cultura. Superare tutte le barriere. Giocare bene la carta di Matera Capitale europea della Cultura 2019. Occasione da non perdere. La crisi politica non deve e non può provocare distrazioni fatali. Tante altre città italiane sono impegnate nella corsa alla prestigiosa nomina, a partire dall’Aquila che proprio nel 2019 celebrerà il decimo anniversario del disastroso terremoto che ha provocato 309 vittime e ha distrutto gran parte del prezioso patrimonio storico del capoluogo abruzzese. I Sassi sono la carta vincente per Matera. Un patrimonio lucano che è conosciuto in tutto il mondo e che è costantemente al centro dell’attenzione. La politica non dimentichi tutto questo. E non dimentichi le lezioni di Carlo Levi. Ricordate spesso in passato da grandi firme e prestigiosi quotidiani nazionali. “La Repubblica” del 22 luglio 1992 ha dedicato una pagina della Cultura all’esteso complesso di architettura rupestre che ripropone due mondi rivali, con il titolo: “Quando a Matera non c’erano i Sassi”.
Scriveva Clara Valenziano: “È un pezzo di storia di Matera che si svolse prima che fossero scavati i Sassi (resi famosi da Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi): i Sassi nacquero a partire dal XV sec. E sono sì abitazioni in grotta ma, in genere, con facciate in muratura. Al posto dei Sassi c’era allora un paesaggio fortemente segnato dall’erosione dell’acqua, del vento, del gelo, un paesaggio fatto di spuntoni di roccia affioranti”.
E sempre nella stessa pagina Susanna Nirenstein ricordava: “I Sassi, scriveva Carlo Levi, hanno la forma con cui a scuola ci si immagina l’Inferno di Dante. Anche l’orrore per la miseria della gente che negli anni Quaranta popolava le grotte, le case scavate, “i gironi” di Matera gli suggerirono un totale scoramento e al tempo stesso un incanto. La sua fu una scoperta, una denuncia subito ripresa, amplificata, da un’intera generazione di intellettuali italiani: parlarono con ancora più rabbia e angoscia del sottosviluppo meridionale, e contemporaneamente partorirono il mito di un luogo puro, incontaminato dell’universo industriale, un mito che fece subito presa nel populismo del dopoguerra. Da qui il pasticciaccio di Matera, un incrocio diabolico di malintesi, superficialità, ideologie, incapacità progettuali e finanziamenti pubblici che ha finito per immolare i Sassi alla propria immagine da presepe, svuotandoli, estraniandoli dalla vita: una vicenda tormentosa raccontata nei dettagli e per grandi movimenti da Amerigo Restucci nel libro “Matera, i Sassi”, edito da Einaudi.
La storia dei Sassi, dallo scoramento all’incanto, deve dare alla politica lucana di oggi una scossa decisa e coraggiosa. E’ in ballo il futuro di una comunità onesta e operosa, che non può essere penalizzata dalle beghe di bassa politica. Occorre la massima serietà. Non è più tempo di inganni. E in Basilicata i “Cetto La Qualunque” debbono essere messi da parte. Accantonati. Per il bene della regione. I lucani a novembre debbono saper scegliere. Liberamente.
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